«Nella speranza siamo stati salvati» Lettera alla comunità in occasione della festa patronale e del 60mo di fondazione della Parrocchia

Miei cari,
quest’anno ho scelto come tema della nostra festa patronale una delle virtù cristiane: la speranza.
Di fronte alle nubi che offuscano ancora il cielo e che sembrano oscurare la bellezza della contemplazione di un giorno nuovo, credo che ci farà bene avere fissa di fronte a noi la potenza di questa virtù, ricordando, soprattutto, il 60 di fondazione di questa parrocchia, che fu posta come seme di speranza nel nuovo quartiere, che stava sorgendo negli anni Sessanta del secolo scorso.
Per questa ragione ho selezionato tra le molte parole della Scrittura sulla speranza quelle che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Roma: «Nella speranza siamo stati salvati» (Rm 8,24).
Esse nel loro significato profondo ci consentono di comprendere in che cosa consista questa virtù teologale, infusaci il giorno del nostro Battesimo, con il dono dello Spirito Santo, e quali conseguenze abbia su di noi e sulla nostra comunità la sua pratica.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: in questa affermazione essenziale l’apostolo Paolo ci ricorda che all’origine della speranza cristiana vi è un atto pieno, totale e gratuito dell’amore di Dio. Questo segno d’amore di Dio consiste nella chiamata alla salvezza mediante la nostra partecipazione alla sua stessa Vita divina.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: se la speranza cristiana non nasce dall’uomo, ma viene da un appello gratuito che parte da Dio, questo elemento ne marca la differenza da ogni altra forma di umano sperare. Infatti, se quest’ultimo è solo il prodotto di uno sforzo umano di tendere verso il futuro, la sperare cristiano non sorge nel momento del bisogno: se così fosse in nulla si distinguerebbe dal generico sentimento o dal desiderio di aggrapparsi a qualcosa come soluzione estrema al male. La speranza cristiana, invece, scaturisce dalla fede e si nutre dell’amore (1Cor 13,13). Senza questa circolarità non sarebbe possibile comprendere la specificità dello sperare credente, che vive di certezza e non di delusione.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: essendo certezza di salvezza, la speranza cristiana «non delude», perché affonda le sue radici nell’amore gratuito di Dio (Rm 5,5) e non potrà mai esserne separata. È l’amore di Dio che rende sicuro il cristiano che la sofferenza attuale non sarà definitiva e che deve sperare nella gloria che gli verrà data. L’amore di Dio diventa per noi fondamento, garanzia e sostegno del nostro sperare. È questo Suo amore che ci tiene saldi e legati strettamente a Lui ed è in forza di questo amore che viene superato tutto ciò che è motivo di sofferenza. Dunque, come ripeto spesso, “i cristiani non sperano di essere felici”, ma “sono felici perché sperano”.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: noi, cristiani, che siamo già salvati nella morte di Cristo, attendiamo ugualmente la pienezza della nostra salvezza. Questa vita diventa il tempo della attesa paziente. La pazienza – ricorda sempre Paolo – accoglie in sé la speranza, la custodisce, la fortifica e la conduce ad un nuovo sperare. Ciò è possibile perché in noi abita lo Spirito di Cristo che non fa che confermare questa prospettiva; lo Spirito del Risorto, infatti, viene in aiuto alla nostra debolezza, poiché non sappiamo neppure che cosa sia importante chiedere.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: ancora un’altra connotazione emerge da questo versetto ed è il carattere comunitario della speranza: l’apostolo dice, infatti, «siamo salvati» e non “sono salvato”. Non c’è nulla di privato nella speranza cristiana. Ricevere il Battesimo equivale ad inserirsi nella fede della Chiesa. Questo pone la comunità credente come segno per l’umanità intera. La speranza, pertanto, è, per i credenti, solamente ecclesiale sia perché è prima di tutto la Chiesa che spera sia perché essa è segno di unità dei credenti stessi tra di loro.

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«Nella speranza siamo stati salvati»: la dimensione comunitaria della speranza, infine, è anche ciò che permette di affermare che il credente spera per tutti e per la salvezza di tutti. Ciò che speriamo per noi stessi, amando, lo dobbiamo sperare per tutti. È qui, alla fine, che diventa chiaro un altro monito di san Paolo «sperare contro ogni speranza» (Rm 4,18), perché la speranza rimanda all’amore che tutto comprende e perdona. In una San Pietro deserta, in quella Statio orbis del 28 marzo 2020, papa Francesco ha pregato con i fedeli collegati da tutto il mondo, ricordando che solo uniti potremo venir fuori da qualsiasi momento difficile: «Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo trovati su una stessa barca fragili e disorientati, ma allo stesso tempo importanti e necessari, chiamati a remare insieme e a confortarci a vicenda. Su questa barca ci siamo tutti. E ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo. Ma solo insieme. Nessuno si salva da solo».

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Apriamo, anzi, spalanchiamo la porta alla speranza, memori delle parole di Gesù Risorto: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Nel coraggio di aprirGli la porta del nostro cuore e varcare la soglia della nostra vita intima per metterci a tavola con Lui è racchiuso il senso di tutta la vita e di tutta la missione cristiana che, nei diversi carismi, ci rende tutti responsabili gli uni degli altri.
Che Santa Rita, donna di speranza, come la sua esistenza ci attesta, ci aiuti in questo nostro camminare insieme nella vita cristiana.
Buon cammino e buona festa a tutti!

Vostro,
padre Marco

Novara, Festa patronale di Santa Rita 2022