Ristabilire il principio. Omelia per la seconda domenica dopo Natale

Miei cari,
il passo evangelico di questa domenica seconda di Natale (Gv 1,1-18) è già stato proclamato nella messa del giorno di Natale; lo abbiamo letto nella prospettiva della Luce. Oggi vogliamo meditarlo, brevemente, nella prospettiva dell’incipit con cui si spalanca: «In principio» (Gv 1,1) che riecheggia le prime parole con cui si apre la Bibbia: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1).
1.
Se l’antico agiografo, autore del primo libro della Scrittura, che descrive l’origine di tutto il creato, entra subito nel vivo della stessa creazione, ponendo in evidenza l’opera creatrice di Dio, l’evangelista Giovanni al contrario pone in primo piano Dio creatore che, attraverso la sua Parola, il suo Verbo divino, porta all’esistenza tutto; come egli afferma: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,1-3).
All’avvio di tutto, dunque c’è Dio e ogni realtà creata non può che far riferimento a Lui. Questo è l’aspetto fondamentale su cui ci soffermiamo oggi, in questa liturgia del tempo di Natale, ristabilendo l’ordine dell’esistente che da Dio trae il suo fondamento. Se noi non ristabiliamo questo assetto anche nella nostra vita, deragliamo in avventure sciagurate, che annichiliscono ogni nostra opera. Se all’inizio della nostra esistenza non emerge questa relazione primaria e fondamentale con Dio, le nostre cose non nascono bene ma finiscono male, poiché -prosegue l’evangelista – «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv1,4).
2.
Qual è, dunque, la luce che illumina la nostra esistenza? Da quale parola prendono forma le nostre azioni? In quale relazione vivere correttamente la nostra vita da credenti?
Attraverso la tentazione diabolica e disgregatrice del creato, che compare nel capitolo terzo della Genesi, l’antico autore della Genesi mette in luce la contraddizione in cui cadono l’uomo e la donna di fronte all’amore di Dio. Il serpente fa loro credere che la vita nasca dalle opere dell’uomo, come costui insinua nel loro cuore: «Ma il serpente disse alla donna: Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,4-5). Lo stesso si verifica, quando Satana tenta il Signore nel deserto; nella terza tentazione, in particolare, il diavolo esorta Gesù a costringere Dio a rivelarsi: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra. Gesù gli rispose: Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo» (Mt 4,6-7). Così avviene in tante occasioni per ciascuno di noi. Noi pensiamo di essere luce al nostro cammino esistenziale. Noi crediamo che il punto di partenza del nostro agire ed operare siamo noi e che noi soli determiniamo il punto di svolta. Ancor più pericolosamente noi riteniamo che non noi, ma gli altri, siano sempre la causa dei nostri insuccessi e delle nostre disavventure.
3.
Ristabilire l’«in principio» della nostra esistenza, del nostro agire, delle nostre relazioni significa colmare quel vuoto angoscioso e angosciante che il grande Agostino descriveva in questi termini in alcuni passi significativi scritti nelle sue opere: «Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell’uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione» (De vera rel. 39, 72). E in un altro celebre passo delle sue Confessioni aggiunge: «Tardi ti amai, Bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo; deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature» (Conf. 10, 27, 38). Sembra che Agostino si rivolga proprio all’uomo di oggi, alienato da se stesso, dal suo orgoglio, in ricerca affannosa della sua identità, frastornato da tante cose che lo circondano e lo sollecitano, illudendolo di riempire con esse il vuoto interiore, che è il vuoto di Dio. Solo quando ritroveremo noi stessi, insegna Agostino, quando riacquisteremo la nostra umanità perduta liberandola dalla schiavitù delle cose, potremo ritrovare anche Dio e quindi la felicità.
4.
Traduciamolo in tre comportamenti da usare in quest’anno nuovo che si apre di fronte a noi.
Torniamo al cuore: è nel cuore che l’uomo ritrova veramente se stesso. L’uomo vale per quello che è nell’interiorità del suo cuore e nella qualità del suo amore: «ogni uomo è ciò che ama», afferma Agostino.
Rivestitiamoci del Signore Gesù Cristo: incontrare Cristo e camminare con lui, comporta il lasciarsi fare nuovi dentro, apprendere i sentimenti di misericordia, bontà, umiltà, mansuetudine, pazienza che sono propri dell’umile Gesù.
Cantiamo e camminiamo. In un mondo segnato da eventi epocali oggi come allora, l’invito è a non disperare, ma a guardare avanti con l’animo aperto alla speranza, perché è Dio che con la sua provvidenza guida la storia. La nostra vita è una ginnastica del desiderio: desiderio di Dio, che ci spinge a svuotare il nostro cuore dai desideri cattivi per riempirlo del desiderio del bene, e del sommo bene racchiuso in due sillabe: Dio.
A questo vi invito e vi rinnovo l’augurio per un buon Natale!
Padre Marco