Dalla compassione, alla condivisione e alla consolazione. Omelia per la 18ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
anche se lontano fisicamente da voi, non posso esimermi dall’inviarvi una proposta di meditazione per questa 18ma domenica del tempo ordinario in questo periodo di persistente pandemia, che non consente a molti la partecipazione alla Divina Liturgia.
Come la scorsa domenica, lo raccolgo attorno a tre parole sintetiche, attraverso le quali si può descrivere l’intero movimento presente in questa pagina evangelica: compassione-condivisione-consolazione. Il mezzo, trascendente e sacramentale, attraverso il quale questo moto di trasformazione dei cuori si  compie, è l’Eucarestia, nella quale Gesù Cristo è veramente, realmente, sostanzialmente presente in corpo, sangue, anima e divinità. Infatti, l’evangelo di oggi (Mt 14,13-21) ci presenta uno dei tre miracoli della “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, che Gesù ha compiuto lungo il lago di Galilea, prefigurazione dell’Ultima Cena, in cui, in forma anticipata, Gesù Cristo ha donato se stesso per la nostra salvezza, lasciandoci il Santissimo Sacramento dell’Altare quale forma in cui Egli ci accompagna nel pellegrinaggio terreno. In questo avvenimento possiamo, dunque, cogliere tre messaggi.
1. Compassione.
Il primo è la compassione. Gesù, di fronte alla immensa folla che letteralmente “non lo lascia in pace”, non reagisce con stizza, ma con un sentimento di compassione perché, conoscendo l’intimo dei cuori, sa che quelle persone non lo cercano solo per curiosità, ma soprattutto mosse tanto dal bisogno quanto dal desiderio profondo e immenso di Lui. Gesù, in altre parole, ne ha compassione, cioè porta su di sé la sofferenza altrui, caricandosela sulle proprie spalle. Questo è il significato profondo e fondamentale della parola compassione: cum-patire, cioè soffrire insieme a noi, con noi, per noi. Non è, dunque, un sentimento superficiale ed effimero, come può esserlo il semplice “sentire pietà”. No, è molto di più! È un affetto profondo, che coinvolge completamente il Dio-con-noi, Gesù, fin nell’intimo delle viscere – se lo diciamo all’orientale – o sin nel profondo del suo cuore – se lo valutiamo secondo il nostro metro occidentale. Così il Signore insegna a noi questo: compatire per tutta la vita, piuttosto che aver pietà per un solo momento di fronte a tutti; compatire tutti indistintamente, anche e soprattutto quelli più fastidiosi, che hanno bisogno. Gesù ci insegna ad anteporre le necessità dei tribolati alle nostre. Le nostre esigenze, pur legittime, non saranno mai così urgenti come quelle dei tribolati, che non hanno il necessario per sperare di vivere. Non è solo carità, che “fa mettere le mani al portafoglio”. È di più. È portare nel cuore gli altri, rompendo quell’individualismo, che non sembra tramontare mai, neanche dopo questa immane pandemia che ci ha coinvolti e che stiamo pacificamente e egoisticamente rimuovendo dalla nostra testa.
2. Condivisione.
Da questa compassione, da questo atteggiamento divino, scaturisce così il secondo movimento del cuore di Dio, la condivisione. È utile confrontare la reazione dei discepoli, di fronte alla gente stanca e affamata, con quella di Gesù. Sono diverse le prospettive. I discepoli pensano che sia meglio congedare la folla, perché possa andare a procurarsi il cibo. Gesù, al contrario, dice in modo decisamente imperativo che non ammette repliche agli apostoli attoniti: «date loro voi stessi da mangiare»! Sbalordimento generale e due reazioni diverse, che riflettono due logiche opposte: i discepoli ragionano secondo il mondo, per cui ciascuno deve pensare a sé stesso; ragionano come se dicessero: “arrangiatevi da soli”. Come sta ancora avvenendo in questo tempo di fragilità: ognuno per sé e via … Son vivo, anche se ne son morti 36 mila per il covid-19! Smarrimento prima per le immagini viste nei tre mesi, al pari di una telenovela…Ora, movida, superficialità e via di questo passo… Ostinazione umana!
Gesù, invece, ragiona secondo la logica di Dio, che è quella della condivisione. Se avesse congedato le folle, tante persone sarebbero rimaste senza mangiare. Invece, quei pochi pani e pesci, condivisi e benedetti da Dio, sono bastati per tutti. E attenzione! Non è una magia, è un “segno”: un segno che invita ad avere fede in Dio, Padre provvidente, il quale non ci fa mancare il “nostro pane quotidiano”, se noi sappiamo condividerlo come fratelli. Lo abbiamo visto nella fase dell’emergenza: quanta condivisione inaspettata! Quanta prossimità! Perché ora smettere e non far tesoro? Perché voler tornare nel vortice dell’inumano, rischiando per se stessi, per i più prossimi, per tutti? Perché tanta caparbietà? Dio ci dice anche oggi: «date loro voi stessi da mangiare»! Caricatevi, cioè, sulle spalle gli uni gli altri. Solo così si cambia il volto disumano di questo mondo!
3. Consolazione.
Solo da questo secondo movimento di condivisione scaturisce il terzo messaggio: la consolazione che, attraverso il prodigio dei pani, preannuncia l’Eucaristia. Lo si vede nel gesto di Gesù che «recitò la benedizione» prima di spezzare i pani e distribuirli alla gente. La formula è la stessa che Gesù userà nell’Ultima Cena, quando istituirà il memoriale perpetuo del suo Sacrificio redentore. Nell’Eucaristia Gesù non dona un pane, ma “il pane” di vita eterna, dona Sé stesso, offrendosi al Padre per amore nostro. Ma noi dobbiamo andare all’Eucaristia con quei sentimenti di Gesù, cioè la compassione e quella volontà di condividere. Chi va all’Eucaristia senza avere compassione dei bisognosi e senza condividere, non si trova bene con Gesù, poiché non fa la comunione, ma riceve un pane sacramentale che rimane in lui senza frutto. Se la Messa non entra completamente nella vita, non fruttifica. E una vite senza frutto, viene tagliata e gettata nel fuoco. Solo chi fa frutto e si lascia persino potare dalle stesse mani del divino agricoltore, riceverà vita in abbondanza, perché svilupperà tali e tanti vitigni da dare frutto per la vita eterna. Solo così ne verrà la consolazione. Non di un momento, ma dell’eternità.
Buona domenica
Vostro padre Marco