Tempo di Natale: la mistica di questi giorni
Diamo il nome di Tempo di Natale ai giorni che vanno dai Primi Vespri della Natività di Nostro Signore (24 dicembre) al Battesimo del Signore, la domenica dopo l’Epifania.
Il significato di questo tempo
Vi domina completamente la celebrazione d’uno stesso mistero e la Chiesa lo celebra nella gioia immensa che le hanno evangelizzato gli Angeli (Lc 2,10) nella notte radiosa così a lungo attesa dal genere umano. Tutto è misterioso nei giorni in cui ci troviamo. Il Verbo di Dio, la cui generazione è prima dei secoli, nasce nel tempo; nel Bambino è Dio; la Vergine diviene Madre e rimane Vergine; le cose divine si confondono alle umane e la sublime e ineffabile antitesi espressa dal discepolo prediletto in queste parole del suo Vangelo «il Verbo si è fatto carne», si sente ripetere su tutti i toni e sotto tutte le forme nelle preghiere della Chiesa. Essa riassume meravigliosamente il grande evento che ha unito in una sola persona divina la natura dell’uomo e la natura di Dio. Mistero abbagliante per l’intelligenza, ma soave al cuore dei fedeli, esso è il compimento dei disegni di Dio nel tempo, l’oggetto dell’ammirazione e dello stupore degli Angeli e dei Santi nella loro eternità, e insieme il principio e il modo della loro beatitudine.
Il 25 dicembre
Guardiamoci tuttavia dal credere che, per il fatto che non è legata a nessuno dei giorni della settimana in particolare, la celebrazione della festa di Natale il 25 dicembre sia stata completamente privata dell’onore di un significato profondo.
Innanzitutto, potremmo già dire, con gli antichi liturgisti, che la festa di Natale percorre successivamente i diversi giorni della settimana, per purificarli tutti e sottrarli alla maledizione che il peccato di Adamo aveva riversato su ciascuno di essi.
Ma abbiamo un mistero molto più sublime da dichiarare nella scelta del giorno di questa solennità: esso viene a legarsi nel modo più espressivo al corso del sole per mezzo del quale la luce e il calore, cioè la vita stessa, rinascono e perdurano sulla terra. Gesù Cristo nostro Salvatore, che è la luce del mondo (Gv 8,12), è nato al momento in cui la notte era più profonda in questo mondo. E il giorno della Natività, il 25 dicembre, è precisamente quello in cui il sole, nella sua lotta con le ombre, vicino a spegnersi, si rianima d’un tratto e prepara il suo trionfo. Nell’Avvento abbiamo notato la diminuzione della luce fisica come il triste emblema di quei giorni di attesa universale; ci siamo rivolti con la Chiesa verso il divino Oriente, verso il Sole di Giustizia. Dio ci ha ascoltati e nel giorno stesso del solstizio d’inverno, famoso per i terrori e i gaudi del mondo antico, ci da insieme la luce materiale e la fiaccola delle intelligenze. «Esultiamo, o Fratelli – esclama sant’Agostino – perché questo giorno è sacro non già per il sole visibile, ma per la nascita dell’invisibile creatore del sole. Il Figlio di Dio ha scelto questo giorno per nascere, come si è scelta una Madre, lui che è il creatore del giorno e della Madre insieme. Questo giorno, infatti, nel quale la luce ricomincia ad aumentare, era adatto a significare l’opera di Cristo che, con la sua grazia, rinnova continuamente il nostro uomo interiore. Avendo l’eterno Creatore risolto di nascere nel tempo, bisognava che il giorno della sua nascita fosse in armonia con la creazione temporale»(Discorso in Natale Domini, III).
Il luogo della Natività
Questo luogo è Betlemme. È da Betlemme che deve uscire il capo d’Israele. Il profeta Michea l’ha predetto (Mic 5,2); i sacerdoti ebrei lo sanno e sapranno anche dichiararlo, fra pochi giorni, ad Erode (Mt 2,5). Per quale ragione questa oscura città è stata scelta fra tutte le altre per diventare il teatro di così sublime avvenimento? Osservate, o cristiani! Il nome di questa città di David significa casa del Pane: ecco perché il Pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,41) l’ha scelta per manifestarvisi. I nostri padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti (Gv 6,49); ma ecco il Salvatore del mondo che viene a sostenere la vita del genere umano per mezzo della sua carne che è veramente cibo (Gv 6,56). Fino ad ora Dio era lontano dall’uomo; ma d’ora in poi essi non faranno più che una sola e medesima cosa. L’Arca dell’alleanza che custodiva solo la manna dei corpi è sostituita dall’Arca d’una alleanza nuova; Arca più pura, più incorruttibile dell’antica: l’incomparabile Vergine Maria, che ci presenta il Pane degli Angeli, l’alimento che trasforma l’uomo in Dio; poiché Dio l’ha detto: Chi mangia la mia carne rimane in me, ed io in lui (Gv 6,57). È questa la divina trasformazione che il mondo attendeva da lungo tempo. È giunta infine l’ora e Cristo sta per entrare in noi, se vogliamo riceverlo (Gv 1,12). Egli chiede di unirsi a ciascuno di noi, come si è unito alla natura umana in generale, e per questo vuoi farsi nostro Pane, nostro cibo spirituale. La sua venuta nelle anime in questa mistica stagione, non ha altro scopo. Egli non viene per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato in lui (Gv 3,17), perché tutti abbiano la vita, ed una vita sempre più abbondante (Gv 10,10). Il divino amico delle anime nostre, non troverà dunque riposo fino a quando non si sia sostituito egli stesso a noi, di modo che non siamo più noi a vivere, ma egli che vive in noi; e perché questo mistero si compia con maggiore dolcezza, il dolce frutto di Betlemme si dispone dapprima a penetrare in noi sotto le sembianze d’un bambino, per crescervi quindi in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini (Lc 2,40). Quando poi, dopo averci così visitati con la sua grazia e con l’alimento d’amore, ci avrà cambiati in se stesso, allora si capirà un nuovo mistero. Diventati una stessa carne, uno stesso cuore con Gesù, Figlio del Padre celeste, diventeremo perciò stesso i figli del medesimo Padre; tanto che il Discepolo prediletto esclama: Figli, osservate quale carità ha usato con noi il Padre, sì che siamo i figli di Dio, non soltanto di nome, ma di fatto (Gv 3,1).
[dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 96-102, liberamente adattato]
Un modo speciale per celebrare una festa molto importante: l’ottava
Nella liturgia della Chiesa latina, un’ottava è un modo per celebrare una solennità. La Chiesa celebra in modo speciale alcune solennità che hanno una categoria speciale. Stiamo parlando delle solennità di Natale e di Pasqua. E perché sono tanto speciali? Perché sono le due solennità cardinali. Queste solennità hanno qualcosa in comune, una caratteristica speciale: si celebrano per otto giorni, come se fossero un unico giorno di festa. L’ottava di una grande festa ha il significato di prolungare la festa stessa. Sottolinea anche il ciclo settimanale della liturgia cristiana che ha come momento principale la celebrazione della domenica. Per questo si parla dell’ottava di Natale, o dell’ottava di Pasqua. Le ottave di Pasqua e di Natale sono così privilegiate che normalmente non si permette di usare un formulario differente di celebrazione della Messa che non sia quello del giorno corrispondente dell’ottava. Nel prefazio della preghiera eucaristica di ogni giorno si dice, nell’Ottava di Pasqua, “questo giorno”, o, nell’ottava di Natale, “il giorno santissimo in cui la Vergine Maria ha dato alla luce il Salvatore del mondo”.
Da dove deriva la tradizione di celebrare oggi per otto giorni di seguito ciascuna di queste due solennità? Celebrare un’ottava nella Chiesa, il nuovo popolo di Dio, è una pratica che affonda le sue radici nell’Antico Testamento, perché l’antico popolo di Israele celebrava le sue grandi feste per otto giorni. L’ottavo era il giorno più solenne; erano feste di sette giorni seguite da un ottavo ancor più festivo o solenne (Levitico 23, 34-36). Questa tradizione deriva, a sua volta, dall’epoca di Abramo. Dio strinse un’alleanza con Abramo e la sua discendenza, il cui simbolo era la circoncisione l’ottavo giorno dopo la nascita di ogni maschio (Genesi 17,11-12). È per questo che Gesù, in quanto ebreo, è stato circonciso l’ottavo giorno, ricevendo in quell’occasione il nome (Luca 2, 21).