Il presepe di san Francesco ottocento anni fa a Greccio (1223-2023): la riflessione del nostro vescovo Franco Giulio

Nella 13a scena del ciclo Storie di san Francesco (Basilica Superiore di Assisi, circa 1290-1295), intitolata Il presepe di Greccio, a differenza di ciò che dice Tommaso da Celano, Giotto dipinge Francesco stesso che depone il bambino Gesù nella greppia, perché traduce in linguaggio pittorico ciò che il Santo di Assisi ha visto con gli occhi della fede.

«C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: “Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei fare memoria del bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza della cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asino”. Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l’occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo» (Tommaso da Celano, Vita Prima, n. 84).

Risale esattamente a ottocento anni fa il presepe di san Francesco. È un presepe “vivente”, secondo il racconto del primo biografo del Santo di Assisi, Tommaso da Celano. La scena della Natività era già stata rappresentata più volte. La più antica si trova nelle Catacombe di Priscilla, dipinta da un ignoto artista del III secolo. Nella tradizione bizantina la Natività di Gesù era raffigurata in una grotta, con la Vergine Maria distesa su un giaciglio, con Gesù bambino nella mangiatoia, mentre San Giuseppe era rappresentato all’esterno, in disparte. Giotto fu il primo pittore a ritrarre una Natività con sembianze naturali, Cappella degli Scrovegni a Padova.

Giotto, Natività, Cappella degli Scrovegni, Padova (primi anni del XIV secolo)

Secondo il racconto di Tommaso da Celano, invece, il presepe “vivente” di Francesco non rappresenta tanto la scena della nascita, quanto l’Adorazione del Bimbo Divino. Vediamo perché? Egli fa disporre gli elementi della scena della nascita di Gesù (la greppia, il fieno, il bue e l’asino), ma non ci sono i protagonisti (Maria, Giuseppe, il Bambino e gli angeli). Egli vuole “vedere con gli occhi del corpo”, ma fa preparare una scena in cui si mostrino «i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato. Il “presepe” di Francesco è questione di sguardo! Si vede la povertà della greppia, la fragilità della paglia, la compagnia del bue e dell’asino, perché lo sguardo credente contempli il «mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28). Si vede un infante nudo e fragile, ma si adora il Dio fatto bambino.

Continua il racconto di Tommaso da Celano: «E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Per l’occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s’accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introdu­cono il bue e l’asinello. In quella scena commovente risplende la sempli­cità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme» (Tommaso da Celano, Vita Prima, 85).

La gioia e l’esultanza sono l’atmosfera del Presepe di san Francesco, in cui «s’accende splendida nel cielo la Stella che illumina tutti i giorni e i tempi». La stella illumina lo sguardo che vede nell’umiltà della greppia il Dio bambino: «Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia». Il biografo commenta stupito la scena del primo presepe della storia che accoglie il Re del cielo. Egli non contempla con gli occhi del corpo il Bimbo di Betlemme, ma ne riconosce il paesaggio inconfon­dibile: «In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l’umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme». Gli occhi di Francesco contemplano nella greppia vuota Maria, Giuseppe e Gesù bambino. Il Santo di Assisi non li vede, ma li intravede con l’emozione della meraviglia dei presenti: frati che provengono da tutte le parti, uomini e donne che arrivano festanti dai casolari, portando ceri e fiaccole per illuminare quella notte tersa di stupore.

Al termine del racconto sul presepe c’è però una sorpresa. Il presepe di Greccio non rimane vuoto come una greppia senza personaggi, ma Francesco rende visibile la Presenza per eccellenza, facendo celebrare l’Eucaristia. Il racconto di Tommaso da Celano termina, infatti, in modo inaspettato: «Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l’Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme» (Tommaso da Celano, Vita Prima, 85-86).

 

Nessuno aveva mai osato tanto: nel volto del piccolo infante si rivela Dio che si fa bambino, ma un Dio così non può essere sequestrato, non può diventare ostaggio di dolci sentimenti e di storie melense, come nei nostri presepi moderni. Non si può “s-velare” completamente la gioia intima del “nuovo mistero”, ma va custodita sotto i veli del Dio che, «essendo ricco, si è fatto povero per noi, perché diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9). Sì, Dio ci arricchisce, ieri come oggi, con la sua povertà, sotto i veli del pane spezzato e del calice condiviso: è l’Eucaristia di Gesù che Francesco ha celebrato con i suoi frati e il popolo santo di Dio a Greccio nel Natale di ottocento anni fa. Buon Natale 2023!

+ Franco Giulio Brambilla

Ottavo centenario del Presepe di Greccio