Il Tempo Pasquale: sette volte sette giorni, gioia, in attesa della Pentecoste

1. Sette volte sette giorni
Il Tempo di Pasqua dura cinquanta giorni, sette volte sette giorni, una settimana di settimane, con un domani; e il numero sette è un’immagine della pienezza (si pensi al racconto della creazione nel primo capitolo della Genesi), l’unità che si aggiunge a questa pienezza moltiplicata apre su un aldilà. È così che il tempo di Pasqua, con la gioia prolungata del trionfo pasquale, è divenuto per i padri della Chiesa l’immagine dell’eternità e del raggiungimento del mistero del Cristo. Per Tertulliano alla fine del secondo secolo, la cinquantina pasquale è il tempo della grande allegrezza durante il quale si celebra la fase gloriosa del mistero delle redenzione dopo la risurrezione del Cristo, fino all’effusione dello Spirito sui discepoli e su tutta la Chiesa nata dalla Passione del Cristo. Secondo sant’Ambrogio: «I nostri avi ci hanno insegnato a celebrare i cinquanta giorni della Pentecoste come parte integrante della Pasqua». A ciò che un solo giorno è troppo breve per celebrare, la Chiesa consacra cinquanta giorni, che sono estensione della gioia pasquale; il digiuno è stato sempre bandito in questo periodo, anche dai più austeri degli asceti. I cinquanta giorni sono come una sola domenica

2. Tempo di gioia
Gioia, rendimento di grazie, celebrazione della luce e della vita, tale è il tempo pasquale. Evidentemente, l’ottava di Pasqua ha un carattere più pronunciato di allegrezza e di meditazione sul fatto della risurrezione del Cristo e della nascita del cristiano nel battesimo, che è una partecipazione alla vita risuscitata del Cristo, mediante una nuova nascita e un pegno della risurrezione futura. Ma tutta la cinquantina ha più o meno questo carattere: vi si canta continuamente l’Alleluia. Sono privilegiati gli epiloghi evangelici delle manifestazioni di Gesù dopo la risurrezione, ma anche, secondo san Giovanni, il suo ultimo discorso, gli ultimi insegnamenti sul comandamento dell’amore, l’unione intima fra lui e suo Padre, la promessa di un altro consolatore, lo Spirito di verità, la grande preghiera sacerdotale per l’unità. Nel quarantesimo giorno si celebra l’Ascensione di Cristo al cielo, e i giorni che seguono sono una lunga preghiera per la venuta dello Spirito, in unione con i discepoli e Nostra Signora del Cenacolo.

3. In attesa della Pentecoste, Pasqua dello Spirito
I cinquanta giorni che si succedono dopo la domenica di Risurrezione evidenziano la centralità dell’evento pasquale e della sua celebrazione liturgica. Si tratta, infatti, di un tempo che ha lo scopo di estendere la gioia della Pasqua. Non a caso, fin dalle origini della Chiesa, fu definito «santo, felicissimo, gioioso, festivo», e gli furono riservati dei nomi particolari come «solennità della gioia, grande domenica, simbolo del secolo futuro, gioioso spazio». È un tempo che esprime una forte portata escatologica, infatti intende essere l’immagine della “domenica eterna”, del tempo di risurrezione che non ha fine.
Gli scrittori ecclesiastici dei primi secoli sottolineano l’unità che caratterizza questa “cinquantina”: Pentecoste non è un solo giorno (il cinquantesimo) ma tutti i cinquanta giorni. A partire dal IV secolo, invece, si incomincerà a dare rilievo all’ultimo. Nelle Chiese occidentali in questo giorno si faceva memoria della discesa dello Spirito Santo; mentre in Siria, Gerusalemme e Mesopotamia si celebrava l’Ascensione. La liturgia non tendeva ancora alla “storicizzazione” poiché non si sentiva la necessità di dare un ordine cronologico agli eventi da celebrare, trasformando in “anniversari” gli avvenimenti salvifici.
Il senso unitario della cinquantina pasquale andò pian piano affievolendosi, in parte perché fu spezzata dalla celebrazione – al quarantesimo giorno – dell’Ascensione, in fedeltà al testo degli Atti degli Apostoli (At 1,3), ma anche a motivo delle modalità celebrative della Pentecoste. Questa domenica, infatti, acquisì una forte autonomia rispetto ai giorni che la precedevano poiché fu destinata esclusivamente al ricordo del dono dello Spirito. Nelle Chiese occidentali veniva celebrato il battesimo, mentre in Oriente viene attribuita a tale circostanza una valenza celebrativa trinitaria. Inoltre, a partire dal VI secolo, anche la Pentecoste è seguita da un’ottava che prolunga ulteriormente il tempo e conferisce una maggiore autonomia all’evento celebrativo. A ciò si aggiunga un’altra situazione: la Pentecoste, fino alla riforma dell’anno liturgico, dava inizio a un tempo specifico – il tempo di Pentecoste – che si estendeva per tutte le settimane (da maggio-giugno fino a novembre) che precedevano l’Avvento.
L’attuale celebrazione del tempo pasquale è all’insegna dell’unitarietà: «I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di Risurrezione alla domenica di Pentecoste si celebrano nell’esultanza e nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come “la grande domenica”. Sono i giorni nei quali, in modo del tutto speciale, si canta l’Alleluia» (Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, n. 22).
In questi cinquanta giorni si realizza la celebrazione unitaria del mistero pasquale come «morte – risurrezione – ascensione – discesa dello Spirito». Mistero pasquale e pentecostale costituiscono un tutt’uno. Il vangelo di Giovanni ci consegna una significativa testimonianza scritturistica, legando in maniera diretta (anche a livello cronologico) morte, risurrezione e dono dello Spirito (cfr. Gv 19,30; 20,19-23).
Anche i testi liturgici del tempo pasquale sottolineano tale unità teologica. Un esempio ci è dato dalla colletta della messa del giorno della domenica di risurrezione: «O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere alla luce del Signore risorto» (Messale Romano, p. 185).
Il valore mistagogico, cioè di introduzione progressiva e consapevole ai misteri teologico-celebrativi, del tempo di Pasqua, si esprime soprattutto nella capacità di leggere i segni del “passaggio dello Spirito”. La Chiesa sperimenta nella quotidianità la “Pasqua dello Spirito”, in modo particolare attraverso la celebrazione dei sacramenti. La cinquantina post-pasquale è quindi tempo privilegiato per riconoscere la presenza dello Spirito del Risorto nella Chiesa e per accoglierne in pienezza i suoi doni.