5 domande a… Ciro Cafiero “Il lavoro che cambia. La nuova prospettiva solidale”

Nelle prime pagine del tuo ultimo libro “Il lavoro che cambia” affermi che «l’Italia è disoccupata per generazione, per genere e per territorio». Come si declinano questi tre punti?
Con questi tre punti, intendo sottolineare che la disoccupazione italiana è un fenomeno più verticale che orizzontale, è verticalizzata soprattutto su tre categorie: 1) su giovani e anziani, cioè sulle generazioni, visto che i primi scontano più difficoltà ad accedere nel mondo del lavoro e i secondi invece sono vittime di violente estromissioni dal circolo produttivo quando mancano politiche di invecchiamento attivo; 2) sulle donne, cioè sul genere, visto che, come i giovani, accedono difficilmente al mondo del lavoro e, quando sono dentro, sia per mancanza di serie politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro, sia per un retaggio culturale sbagliato, in caso di eventi critici sono le prime ad abbandonarlo. Durante la pandemia, i posti di lavoro persi riguardano nel 75% dei casi l’occupazione femminile. Nel dicembre del 2020, la percentuale è salita addirittura al 99%, tanto che il Fondo Monetario Internazionale ha definito “She-cession” questo fenomeno; 3) sul Sud, per la depressione industriale che tradizionalmente vive, e perché in molte località mancano politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro. L’occupazione invece cresce dove queste politiche esistono. È per tutte queste ragioni che, nel nostro Paese, non bastano ricette generiche per il contrasto alla disoccupazione, ma servono terapie specifiche per i soggetti che ne sono colpiti. Continua la lettura dell’intervista di Tommaso Galeotto sul sito di Comunità di Connessioni