Il tempo delle domande

Nella Guida galattica per autostoppisti, quando il grande computer Pensiero Profondo offre, al termine di 7 milioni e mezzo di anni di elaborazione dati, la risposta alla domanda fondamentale “sulla vita, l’universo e tutto quanto”, tutti rimangono sgomenti. Visto che la risposta è con assoluta certezza “42”, dice, “ad essere sinceri, penso il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente la domanda”. Il genio umorista di Adams sapeva che la vera “questione” è sempre riconoscere la domanda che vive dentro la realtà dei fatti. Per il giornalismo la domanda è strumento maieutico delle cose e della realtà. E mentre le risposte sono il tentativo di un singolo, e quindi sono sempre frammenti, angoli visuali, una buona domanda è invece la domanda più o meno consapevole di molti. Le domande accomunano: raccolgono culture, fanno sintesi di istanze, interpretano una comunità e una storia. Quelle più radicali attraversano come un fiume carsico le vite. Riportarle alla coscienza del nostro tempo, mostrare ciò che come società profondamente ci chiediamo o non ci chiediamo più e quello su cui potremo o dovremo interrogarci domani, è un compito alto del giornalismo. Probabilmente il più affascinante. La domanda fondamentale che dà senso alla politica è invece il bisogno di giustizia che è nelle vite delle donne e degli uomini. Una politica che dovesse eluderla, o semplicemente non riconoscerla, andrebbe inevitabilmente incontro al suo fallimento storico. Negli ultimi anni prima dell’arrivo di questa pandemia, la domanda di giustizia di molti è stata una mai risolta domanda di identità. La storia dell’uomo, che prima di questo ventennio ha già conosciuto molte altre globalizzazioni, a partire da quella ellenistica, aveva insegnato che l’improvvisa dilatazione degli spazi e delle comunità di riferimento porta con sé un senso profondo di smarrimento e frammentazione sociale. Per il mondo greco antico è stato il trauma del passaggio da cittadini di città-stato a sudditi di regni immensi, l’abbandono obbligato della vita politica compensato con un ripiegamento nella dimensione privata. Stesso destino di abbandono è toccato ai grandi sistemi filosofici, sostituiti da filosofie di vita, all’arte e alla poesia civile. Davanti alla sfida di un riadattamento ambientale, la chiusura era, ed è ancora oggi, una reazione storicamente nota. Continua la lettura dell’editoriale su Comunità di Connessioni