Sentinella, quanto manca alla notte? Lo stile del credente in questo tempo particolare. Lettera alla comunità per l’inizio del nuovo anno pastorale 2020/2021

V. Van Gogh, Notte stellata

Miei cari,
per l’inizio di questo nuovo anno pastorale 2020/21, il mio quinto in mezzo a voi, non vorrei aggiungere nulla a quanto vi ho già scritto per le feste di Santa Rita nella lettera dal titolo: “Radici, Memoria, Fratellanza, Speranza”. In essa avevo già chiaramente delineato una prospettiva per il futuro cammino pastorale della nostra comunità, che ha trovato conferma anche nel recente documento della Santa Sede “La conversione pastorale della comunità parrocchiale”.
Vorrei, ora, semplicemente dire una parola sullo stile da far nostro come credenti per la ripresa delle nostre attività in questo tempo immediato, che presenta ancora molte incognite e non offre una visuale d’insieme rassicurante, costringendoci a limitare lo sguardo ad un orizzonte meno esteso e più ristretto.
Desidererei che ci facesse da guida la Sacra Scrittura, in particolare il celebre oracolo, che è contenuto nel libro del profeta Isaia al capitolo 21, versetti 11 e 12.  Esso recita: «Oracolo su Duma. Mi gridano da Seir: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”. La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!”» (Is 21,11-12).

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Mi colpisce, innanzitutto, la domanda, gridata per ben due volte a chi sorveglia dall’alto delle mura la città degli uomini per garantirne la sicurezza: «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?».
È una richiesta che, in questo tempo di pandemia, è nella testa, nel cuore e sulle labbra di ciascuno di noi. È un’invocazione che, tradotta, potrebbe prendere questa forma: fino a quando e in che misura anche noi credenti dovremo fare i conti con questa situazione di incertezza che vincola non solo le nostre relazioni, ma anche il nostro cammino di comunità credente?

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Al che la sentinella risponde, mostrando anzitutto la realtà oggettiva dello scorrere del tempo: «Viene il mattino, poi anche la notte».
È certamente una constatazione ovvia ma, se letta nel profondo, diventa un invito alla fiducia («viene il mattino») e un ammonimento a non scordare che alla luce del giorno seguirà inesorabilmente di nuovo il buio («poi anche la notte»).
Il ciclo della nostra vita viaggia, infatti, su questi due binari in un’alternanza di chiarezza e di oscurità, di certezze e di dubbi, di sicurezza e di precarietà, di consolazione e di desolazione. In questo tempo, siamo stati colpiti da un male che non ci aspettavamo, che non solo ci ha messo di fronte ai nostri limiti, ma ci ha anche risvegliato da una letargia adolescenziale, costringendoci a vivere situazioni che consideravamo lontane da noi e relegate ad altri tempi. Il nostro delirio di onnipotenza è stato smascherato, mettendoci di fronte alla cruda realtà della nostra caducità. Anche la nostra voglia di dimenticare l’accaduto sino ad arrivare al negazionismo (è cronaca di questi giorni) è continuamente vanificata, perché i dati della quotidianità non lasciano spazio ad ingenuità ma provocano bruschi risvegli, presentando un conto salato.

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Mi domando allora: come fa, però, la sentinella a rispondere alle grida degli «abitanti di Seir»?
La risposta credo si possa trovare nel suo compito precipuo: quello di stare costantemente all’erta sulle mura della città, osservando attentamente l’orizzonte, scrutando l’oscurità della notte e penetrandone i silenzi, per rassicurare «gli abitanti di Seir».
La sentinella ha, infatti, piena consapevolezza che la realtà che la circonda è difficile, talora faticosa e pure complessa; perciò il suo atteggiamento non indugia in sterili rimpianti e nemmeno in deliri di onnipotenza, ma trova forza nella sua capacità di vigilare, rimanendo saldamente al suo posto e condividendo le inquietudini di coloro che dipendono da lei.
La sentinella, in altre parole, sa osservare attentamente e sa scrutare diligentemente quella che sembra apparentemente una grande oscurità, ricercando tracce di cammini possibili e abbandonando l’idea “di mettere la testa sotto la sabbia” o di “crearsi un piccolo e gretto mondo parallelo di false sicurezze.
La sentinella, inoltre, si spinge con lo sguardo non solo dentro la notte oscura, ma anche oltre la stessa per percepire il primo sussulto del mattino e il primo vagito dell’aurora.
La sentinella crede, poi, che, sotto la cenere dell’appiattito panorama che la circonda, molta brace possa essere ancora viva e ci possa anche essere un ventre gravido di novità, dal momento che il mondo è il luogo della manifestazione di Dio.
Questo comportamento è, in definitiva, lo stile che ogni cristiano, in quanto tale, dovrebbe possedere, trovando il coraggio di vivere la propria esistenza in ogni circostanza che la vita riserva.
Infatti, il cristiano crede che la notte è stata illuminata non solo dalla nascita del Salvatore ma che anche nelle tenebre seguite alla morte di Cristo, si è infranta l’oscurità, perché è rifulsa la luce della resurrezione del Crocifisso, inaugurando così il giorno ottavo, la domenica senza tramonto, il giorno della Pasqua.
Tutto questo dona al cristiano uno sguardo rinnovato sul mondo che la circonda unito alla capacità di riconciliarsi con il tempo cronologico che non scorre verso il nulla o che è dominato dal caso, ma che avanza, invece, verso la pienezza di vita e che è saldamente nelle mani di Dio.

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Per tutto questo, la sentinella può rispondere allora alle grida «degli abitanti di Seir» e può discernere anche nell’oscurità della notte le azioni da compiere non solo per sopportare le incertezze dell’esistenza, ma anche per tentare di superarle.
Perciò invita coloro che la interrogano a «domandare, convertirsi, venire!».
Tre azioni vengono indicate nettamente e chiaramente che, tradotte, possono essere espresse in questi termini: chiediamo insistentemente ciò di cui abbiamo bisogno per cambiare i nostri stili di vita non conformi al nome cristiano così da uscire dalle sindromi di una perenne adolescenza, da quelle di una irrazionale paura e dalla voglia di “gettare la spugna”, rimettendosi in gioco totalmente e sopportando anche la prova della notte.
Chi ci aiuta in questo? mi domanderete.
San Paolo lo scrive chiaramente in un passo della lettera che invia ai Cristiani di Roma: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).
L’apostolo Paolo ci assicura che lo Spirito Santo ci conosce bene. È l’Amore di Dio venuto in noi dal Battesimo che vive in noi. È il nostro Maestro interiore. È più intimo del nostro intimo.  Lo Spirito di Dio ci ama profondamente e ci guida al bene. Quando preghiamo nello Spirito, è come se gli dicessimo: “compi tu i disegni di Dio nella mia vita, nel mio cuore, sulla mia volontà, nelle mie fragilità per il mio presente e per il mio futuro”.  È come se gli dicessimo: “chiedi tu a Dio ciò che mi serve, io non so più ciò di cui ho veramente bisogno, confido in te, ti affido tutto di me”. Quando preghiamo nello Spirito, la nostra debolezza diventa il nostro punto di forza: è il nostro trampolino di lancio verso una “vita nuova” che lo Spirito Santo ci farà scoprire.
Tutto questo – sottolinea ancora la sentinella – parte dalla buona volontà di ciascuno («se volete»), senza la quale nulla accadde automaticamente.
Infine, queste tre azioni sono un’espressione corale e non solitaria: notate il plurale usato nei tre verbi («domandate, convertitevi, venite»).

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Questo mi sembra in estrema sintesi lo stile da far nostro per ripartire in questo anno un po’ precario e incerto, ma altrettanto ricco di sfide e gravido di speranza.
Auspico che facciate vostre queste parole, sapendo che lo stesso profeta Isaia nei capitoli successivi ricorda a coloro che hanno scelto di compiere questa traversata nel giorno e nella notte e che hanno avuto il coraggio di domandare, di convertirsi, di venire, un’altra promessa: «Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,19).
La stessa che mi permetto di augurarvi anche io!
Buon inizio!

padre Marco

Novara, 12 settembre 2020
Santo Nome di Maria