Il Supremo Dono del Figlio Amato. Omelia per la seconda domenica di Quaresima

Miei cari,
la seconda domenica di Quaresima è dedicata al mistero della Trasfigurazione: Gesù manifesta la sua vera natura di Uomo-Dio ai suoi apostoli, annunciando anticipatamente il mistero della sua Pasqua di Passione-Morte-Resurrezione per rincuorarli di fronte all’imminente scandalo della Croce, che li sconvolgerà al punto da disperderli per poi riunirli dopo l’effusione del dono dello Spirito Santo, dando così origine alla Chiesa.
Vorrei rileggere con voi il brano evangelico di oggi (Mc 9,2-10), nel quale l’evento della Trasfigurazione è narrato nella versione di Marco, in parallelo con il Sacrificio di Isacco (Gen 22,1-2.9.10-13.15-18), che è proposto dalla prima lettura di questa domenica.
Cominciamo da quest’ultima narrazione, uno dei testi più antichi della Prima Scrittura.

La “richiesta” del figlio amato: Isacco
Ad Abramo, nostro padre nella fede (cfr. Rm 4,13), viene “apparentemente” chiesto dal Signore l’immolazione dell’unico figlio, propiziatrice della benevolenza della divinità: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò» (Gen 22,2).
È una situazione veramente paradossale.
Infatti, Abram, divenuto Abramo, cioè erede della promessa di Dio e padre di tutte le genti, che adoreranno l’unico Dio vivo e vero (cfr. Gen 17), è oggetto di questa richiesta, che non solo a lui ma anche a noi appare veramente assurda. Non solo perché, anziano lui con la moglie, considerata sterile e ormai vecchia, dopo lunghe vicissitudini (cfr. Gen 18,1-16), concepisce finalmente l’erede maschio (cfr. Gen 21,1-10), che gli assicurerà la discendenza numerosa come le stelle del cielo, promessa da Dio (cfr. Gen 15, 5); ma, ora, proprio Isacco, il figlio primogenito, sul quale riposa la benedizione della fecondità di tutti i popoli, viene richiesto per essere immolato come olocausto a quel Dio, che lo aveva indicato come il tramite della alleanza tra le genti (Gen 22,2). Abramo, con il cuore rotto, non esita, ma accetta questa prova, affidandosi ancora a quel Dio che lo ha chiamato dalla sua terra e che, esule ed errante, lo ha portato ad una nuova prospettiva di vita stabile (cfr. Gen 12,1-3). Abramo ci appare, così, come il modello della fede di ogni credente che di fronte alla prova, anche la più lontana dalle sue logiche e da quelle della natura umana – il sacrificio di un uomo! -, accetta senza esitare e procede (Gen 22,3-8). Ma la mano di Dio lo ferma, mediante l’intervento di un angelo, nel momento in cui sta per alzare il coltello sul figlio amato, posto sulla pira sacra, e gli dona una diversa prospettiva, consegnando a lui un ariete quale vero sacrificio a Dio (Gen 22,10-13).
Che cosa, allora, possiamo leggere tra le righe di questo che è per antichità e per contenuto uno dei passi più importanti dell’Antico Testamento? È forse plausibile questo comportamento di Dio?
Occorre, per comprendere, decifrare il contesto in cui avviene questa richiesta da parte della divinità, ricordando l’uso pagano di immolare i primogeniti. Abramo, approdato nella terra di Canaan, ne era permeato. L’uso e la consuetudine rituale erano quelle: non c’era nulla di strano perché agli idoli si credeva giusto fare sacrifici umani, per impetrarne la benevolenza. Abramo, al contrario, deve purificare il suo cuore e comprendere che il Dio che lo ha chiamato è datore di vita e non il contrario. Gli idoli cananei, invece costruiti a misura d’uomo, erano invece prosciugatori di vita, al punto da chiederla in sacrificio. Questo è il punto. La sfida che a cui Dio sottopone Abramo non è il sacrificio del figlio amato, ma che Abramo si togliesse dalle convenzioni sociali e cultuali errate che lo circondavano e purificasse la sua fede, considerando aberranti queste usanze. Il Dio, che lo aveva chiamato all’alleanza, non era un idolo e non era assetato di sangue umano. Egli era Colui che chiedeva un cuore contrito ed uno spirito umiliato (cfr. Sal 50). Non aveva affatto bisogno della a paura dell’uomo, ma chiedeva ad Abramo che la sua fede si trasformasse in fiducia totale in quel Dio che infondeva nell’uomo, con cui costantemente entrava in relazione, amore, benevolenza e salvezza.
Questo la dice lunga anche a noi tutti occidentali.
Non siamo, infatti, così lontani da quelle aberrazioni di quei popoli pagani dominati da idoli assetati di sangue. Non sacrifichiamo, forse, all’idolo della carriera la nostra vita? Non sacrifichiamo forse all’idolo della paura la nostra esistenza? Non abbiamo fatto del denaro, del successo, del lavoro l’idolo a cui tutto si deve sacrificare? Non abbiamo, forse, legiferato perché false libertà dominassero la nostra esistenza? Pensate all’aborto, all’eutanasia, alla logica dello scarto, all’eliminazione e alla segregazione del debole e dell’inutile, alla distruzione progressiva del creato … Non sono, forse, oggi, in questa nostra cultura, così permeata di morte, più che mai evidenti? E, da ultimo, cronaca alla mano, l’attuale fenomeno pandemico ci migliorerà o ci renderà peggiori? A ben vedere, non siamo poi così distanti dai Cananei. Siamo ritornati alla ferinità, alla bestialità e alla logica dell’homo homini lupus, cioè l’uomo è carnefice dell’uomo, poiché lasciamo che i fratelli e le sorelle più deboli soffrano e muoiano, avendo talora più a cuore gli animali che gli esseri umani (quanta pubblicità in questo senso in ogni media!)… Ma dove siamo caduti? Ecco, che cosa ci dice, oggi, Dio in tutto questo sfacelo? O meglio: che cosa ci dona? È questo lo snodo del mistero della Trasfigurazione, di cui si narra nel vangelo di oggi.

Il “dono” del Figlio amato: Gesù
Dio, oggi, ci ri-mostra la verità di se stesso nel donare Lui e non nel richiedere Lui qualcosa dall’uomo. Egli ci fa dono della persona più importante della Sua vita: Gesù, il Suo Figlio Unigenito, nel Quale è la Vera Vita (cfr. Gv 1,4) e attraverso il Quale ha portato alla Vita tutto il Creato (Gv 1,3), facendo dell’uomo, di ogni uomo, l’interlocutore privilegiato di questo rapporto (cfr. Pontificia Commissione Biblica, «Che cosa è l’uomo?» (Sal 8,5). Un itinerario di antropologia biblica). Nel mostrare la verità dell’Uomo-Dio nel momento della trasfigurazione, Dio ri-afferma la Verità di Gesù e dell’uomo. Di Cristo ci attesta che Lui è il Messia; Lui i è il Mediatore vero tra Dio e l’umanità intera; Lui è la Via, la Verità e la Vita eterna (Gv 14,6), che dal seno del Padre (Gv 1,1), entra nella carne dell’uomo, rendendosi tangibile ed esperibile (Gv 1,14).
Agli uomini, rappresentati oggi nei tre apostoli che assistono alla scena della Trasfigurazione, presi dal timore, Dio ri-offre la sua Parola rassicurante, in quella voce che proclama il Suo Unigenito Cristo, l’Amato, nel quale anche noi siamo amati (Mc 9,7). Dio, dunque, non chiede nulla di efferato all’uomo, ma ri-offre tutto se stesso, in un sacrificio, la nuova ed eterna alleanza, che riscatta l’umanità intera dal peccato e dalla morte. Dio non sacrifica l’uomo, ma sacrifica il Figlio Suo Unigenito per l’uomo, perché lo stesso uomo abbia ancora parte, dopo la caduta del peccato, alla felicità eterna. È il mistero della Pasqua che trova nell’Eucarestia, la Messa, il suo centro vitale. Nella Trasfigurazione del Figlio Amato anche noi veniamo trasfigurati, cioè apprendiamo non solo il vero volto di Dio, l’Amore fattosi carne, ma anche il nostro aspetto nostro, quello di carne amata da Dio e destinata non alla morte ma alla Vita eterna. La vera gloria del Figlio Amato è, dunque, l’uomo, ogni uomo, che vive e che vive eternamente di questo mistero ineffabile. Nell’Eucarestia ci è offerto questo pegno d’immortalità, anticipo di ciò che saremo, perché abbiamo in noi l’anima ripiena di Grazia, ossia quell’amore gratuito anticipato nella Cena pasquale, l’ultima nella quale Cristo si fa cibo e bevanda di salvezza.

Trasfigurarsi nel Figlio amato
Concludo. Domenica scorsa si diceva che come superare le tentazioni. Anche oggi si rinnova questo appello. Eliminiamo da noi ogni male, a cominciare da quello che sfigura il nostro Dio in un idolo assetato di sangue. Eliminiamo da noi ogni male a cominciare da quello che rende l’uomo una bestia affamata di successo, di fugaci piaceri, di onnipotenza peritura. Eliminiamo, dunque, queste turpi oscurità! Ri-accogliamo, invece, la luce del volto trasfigurato di Cristo e, nell’invito del Padre «ascoltatelo», ri-accogliamo la vera identità di Dio e nostra. Tutti noi abbiamo bisogno di questa luce indicibile e interiore per superare le prove della vita. Ma questa luce viene da Dio ed è Cristo a donarcela, Lui, in cui abita la pienezza della divinità (cfr Col 2,9). Saliamo, perciò,  anche noi con Gesù sul monte della Trasfigurazione e, contemplando il suo volto pieno d’amore e di verità, lasciamoci colmare interiormente della Sua luce divina, portatrice di salvezza.
Buona domenica!
Padre Marco