Nella visione della «Fratelli tutti» il nuovo popolo della solidarietà

Nell’enciclica sociale di Papa Francesco, Fratelli tutti, il tentativo di recuperare il valore della fraternità, spesso relegata a “sorella minore” rispetto alla libertà e all’uguaglianza, trova avvio già nella lettura della parabola del Samaritano. La doppia esclusione, da una parte, etnico-religiosa e politica, quella del Samaritano, che vive la condizione di straniero, e dall’altra, sociale ed esistenziale, quella dell’uomo malmenato e trascurato dai responsabili della sua stessa etnia, della stessa religione e del suo stesso popolo, viene risolta mediante un gesto di cura, che si dimostra fondante la stessa fraternità. Tra lo straniero e il piagato, si opera come un riconoscimento reciproco, sulla base del fatto che entrambi risultano esclusi. Ed è proprio la ferita a offrire l’opportunità per infrangere l’esclusione e creare un nuovo popolo, quello tessuto da una fraternità basata sulla cura. Nelle piaghe dell’uomo malmenato, il Samaritano cura, infatti, la sua stessa dignità, la dignità che spetta a ogni essere umano. In questo atto di prossimità al misero, il Samaritano radica la possibilità di dare vita al popolo della solidarietà inclusiva, nel quale egli stesso non sia più considerato straniero. Quest’atto di cura, a fondamento della fraternità, stabilisce, perciò, una nuova cittadinanza, una nuova antropologia, quella dal cuore aperto al mondo intero. Non è più l’appartenenza a uno Stato, a una Nazione, a un’etnia o a una religione a costituire elemento di merito a pro di una cittadinanza, ma soltanto la sollecitudine di una cura, in nome del diritto di ciascuno alla dignità, del diritto a essere riconosciuto fratello. Per inciso, va ricordato che il termine “fratellanza” è stato introdotto nel vocabolario giuridico internazionale proprio con la Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), formulata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non è perciò casuale l’attenzione, che Papa Francesco riserva all’Onu nella Fratelli tutti, auspicandone una riforma, che ne assicuri maggiore incisività sul piano della difesa della dignità umana. Continua la lettura su L’Osservatore Romano