Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora! Omelia per la 32ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
iniziamo con questa domenica e per le due che seguiranno la lettura continua del capitolo venticinquesimo del vangelo secondo Matteo. È un capitolo che parla degli ultimi tempi, nei quali sarà portato a compimento per ciascuno di noi l’aver vissuto cristianamente l’esistenza terrena, che ci è stata donata da Dio. In questo capitolo l’evangelista Matteo presenta tre situazioni in forma di parabole, che ci dichiarano come prepararci a vivere l’incontro con il Signore, senza alcuna superficialità, per entrare nel suo Regno. Gesù – come si rileva dalle parole riportate da Matteo – dichiara, apertis verbis, che il dono della vita è unico e irripetibile: non si può sciupare e nemmeno sprecare tanto è prezioso e tanto è raro. La presente situazione pandemica ce lo ha rivelato: “in un batter di ciglia” tutto può finire al punto da lasciare sgomenti tutti. L’esistenza dell’uomo e della donna, così formidabile per le ricchezze e le potenzialità che essa possiede, è, altrettanto, sbalorditiva per gli esiti che possono condurre o alla felicità eterna o alla dannazione perenne. Perciò non va sprecata. Mai! Ecco, dunque, che Gesù si fa ancora guida ai nostri passi, come buon pastore, perché possiamo esserne consapevoli, non impreparati e come fare per ricevere «in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34).
Veniamo, allora, alla prima delle tre parabole, quella proclamata oggi (Mt 25,1-13), della quale sottolineo i tre elementi salienti: il contesto, i protagonisti, i segni.

Il contesto: la festa di nozze
La festa di nozze è il contesto nel quale si svolge la vicenda narrata, così si apre il brano: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo» (Mt 25,1).
Il matrimonio, le nozze, gli sponsali sono le situazioni che tanto nell’Antico Testamento, quanto nel Nuovo descrivono l’alleanza tra Yhwh e il popolo eletto, tra il Risorto e la sua Chiesa, tra Dio e l’universo creato. È un’immagine bella e serena: nessuno teme di andare ad un matrimonio ma, partecipando alla gioia degli sposi e condividendola, è felice per i nubendi e per se stesso. L’incontro con Dio – ci dice Gesù – non è, dunque, una realtà da temere o, peggio, da scongiurare. Al contrario, essa soddisfa e porta a compimento quel desiderio di felicità, profondo, innato, iscritto nel cuore, che abita l’esistenza e la condizione di ciascun essere vivente. La felicità, quella che abbiamo celebrato nella solennità di Ognissanti, è così a portata di mano. Sarà duratura, perenne, senza interruzioni perché è garantita da Dio, «bene infinito e nostra eterna felicità» (Atto di carità).

Le protagoniste: le dieci vergini
Le protagoniste, in questo caso, sono dieci vergini, cinque delle quali sagge, le restanti, stolte (Mt 25,2). Al di là della loro condizione verginale, queste giovani donne rappresentano tutti noi credenti.
La prima evidenza, che per noi è importante, sta, anzitutto, nell’attesa dello sposo che tarda – arriverà addirittura a mezzanotte – e che descrive il modello di comportamento di ogni credente. L’ho descritto nella lettera che ho inviato alla comunità all’inizio di questo anno, segnato da gravi difficoltà che si vanno ancora acuendo, rendendoci impotenti e moltiplicando il nostro senso di frustrazione. Allora ad essere protagonista del brano scelto era la sentinella che vigila e attende. Vi scrivevo: «La sentinella … sa osservare attentamente e sa scrutare diligentemente quella che sembra apparentemente una grande oscurità, ricercando tracce di cammini possibili e abbandonando l’idea “di mettere la testa sotto la sabbia” o di “crearsi un piccolo e gretto mondo parallelo di false sicurezze. La sentinella, inoltre, si spinge con lo sguardo non solo dentro la notte oscura, ma anche oltre la stessa per percepire il primo sussulto del mattino e il primo vagito dell’aurora. La sentinella crede, poi, che, sotto la cenere dell’appiattito panorama che la circonda, molta brace possa essere ancora viva e ci possa anche essere un ventre gravido di novità, dal momento che il mondo è il luogo della manifestazione di Dio». Ora in questa parabola, sebbene tutte le dieci vergini abbiano vegliato, tutte hanno ceduto al sonno: «Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono» (Mt 25,). Dunque, fuor di metafora, tutte sono sottoposte alle fatiche dell’esistenza terrena, tanto che cedono alla stanchezza della veglia. Ma solo le primi cinque, le sagge, potranno poi entrare nella festa di nozze. È questo il secondo elemento ad attirare la nostra attenzione. Esso si concretizza bene nei segni di cui dispongono le sagge a differenza delle stolte.

I segni: le lampade e l’olio
Le lampade con l’olio sono i mezzi con cui entrare e partecipare alla festa di nozze! Singolari per noi, ma non tali per il tempo.
Cominciamo con le lampade. C’è un salmo, il 119, intitolato “meditazione sulla legge del Signore”, che dice testualmente: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (v. 105). Dobbiamo tener presenti che queste lampade erano piccole e tali da rischiarare quel tanto che bastava a non inciampare o a scrutare, non perdendole di vista, le piccole cose che abitavano l’ambiente domestico; non servivano a far luce su tutto l’intero e oltre, perché non era necessario, ma si concentravano sugli elementi essenziali della vita quotidiana, così che venisse a portata di mano ciò che bastava in quel preciso momento. Non c’era la luce elettrica! Fuor di metafora: Gesù ci dice di vivere giorno per giorno le piccole cose che ci rendono attenti ai piccoli particolari che sono in nostro possesso. Possiamo dar loro un nome: le piccole obbedienze quotidiane, le preghiere personali, la partecipazione alla messa domenicale, la vita di famiglia contraddistinta dalle poche cose essenziali che curano i rapporti delle coppia in se stessa, dei genitori con i figli, della famiglia nel suo insieme; quindi, nel lavoro e nella scuola, l’adempimento ai propri doveri; ancora, nella vita sociale, la sincerità dei rapporti; infine, nella vita civile, il rispetto delle leggi. Piccole cose, che fatte bene consentono la costruzione del bene personale e comune. Tutto questo vale anche per l’olio che alimenta le piccole lampade. È il secondo elemento su cui riflettere. L’olio, tipico prodotto mediterraneo, indica biblicamente l’unzione con cui i credenti sono segnati, diventando parte del popolo regale, sacerdotale e profetico. Non solo. L’olio era anche un medicamento: leniva e curava il corpo. Di più: era anche strumento di bellezza esteriore, a cui doveva corrispondere quella interiore; era usato nelle gare per temprare la muscolatura, rendendola scattante e pronta anche alla lotta. Uniti insieme questi due segni, lampade e olio, che manifestano la vigilanza nella notte in attesa dello Sposo, col significato che abbiamo finora descritto, determinano l’impossibilità di essere ceduti ad altri.

La conclusione
Scrive da ultimo Matteo: «Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”» (Mt 25,8-9). La risposta delle vergini sagge alle stolte non si configura come un atto egoistico, ma come una verità di fatto: non posso dare ad un altro ciò che l’altro non ha disposto lungo tutta la propria vita, anche se lo volesse. Non è un’azione dettata dall’avarizia o dall’interesse, ma da un dato di fatto: se nella propria vita non ci sei preparati con le piccole obbedienze che la vita ha richiesto, non si potrà, anche volendolo, far parte di ciò che personalmente si è costruito. Questa è la saggezza delle prime donne e la stoltezza delle seconde, che ne dirime e ne determina la sorte: le prime sono pronte a partecipare, quale che sia l’ora in cui giunge lo sposo, le seconde no. Sebbene tutte abbiano vegliato e tutte abbiano ceduto al sonno per il ritardo dell’arrivo del protagonista della festa nuziale, solo le sagge, al risveglio e alla venuta dello sposo, saranno pronte. Dunque, fuor di metafora, tutti noi siamo sottoposti alle fatiche dell’esistenza terrena, tanto che si cede alla stanchezza della veglia, ma solo chi è saggio è stato capace di non desistere dagli atti quotidiani di obbedienza alla vita, che la stessa vita ha richiesto. Si cade, ma ci si può rialzare. Questo è importante. Gli stolti, coloro che ignorano la misericordia del Signore, non lo fanno e chiedono ad altri ciò che non si può cedere, neanche a volerlo.
Amara ma inevitabile è allora la conclusione: «Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora» (Mt 25,13).
Buona domenica!
Padre Marco