L’universale chiamata alla santità. Omelia per la festa di Ognissanti

Miei cari,
la Chiesa nella sua materna sapienza racchiude in un’unica festa la memoria di tutti i santi ossia di tutti coloro che hanno vissuto in maniera eminente le virtù teologali della fede, della speranza, della carità e quelle cardinali della fortezza, della giustizia, della prudenza e della temperanza.
I loro nomi sono iscritti nel cuore di Dio e, parte di essi, la Chiesa li elenca in quello che viene chiamato martirologio, il calendario nel quale vengono riportati, giorno dopo giorno, i nomi di coloro che la Chiesa ha ritenuto di essere presentati come modelli evangelici al popolo santo di Dio. È evidente che questi ultimi sono solo una minima parte della moltitudine immensa che vive nella gloria di Dio. Infatti, la santità è il fine della vita cristiana e non può che essere nel profondo del cuore di ogni credente l’aspirazione prima, unica ed ultima. Lo esprime bene la prima lettura nelle parole profetiche del veggente dell’Apocalisse, l’apostolo Giovanni: «Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello» (Ap 7,9-10).
Oggi, al centro della nostra meditazione, sta la magna carta della santità, che ci viene presentata da Gesù, quale novello Mosè, sul monte (Mt 5,1-12). È il vangelo delle beatitudini, che ha come protagonista Gesù stesso: è lui il beato per eccellenza; è lui che ha incarnato le condizioni di vita espresse nelle beatitudini; è lui che ci si offre come esempio da imitare, per ottenere quello lo stesso apostolo Giovanni proclama nella seconda lettura di oggi: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro» (1Gv 3,2-3).
Vorrei concentrarmi con voi sui tre elementi che connotano il vangelo odierno: il termine con cui sono descritti i santi, la condizione di vita narrata, il presupposto per raggiungere la santità

Il termine
La parola con cui è descritta la condizione della santità è “beato” che esprime nella lingua originale greca due elementi di questo presupposto: la felicità di chi ha vissuto secondo il vangelo, conseguente a quella di chi non ha sprecato la sua esistenza. Infatti, la parola greca makaìros, nella sua radice richiama il momento opportuno, il kairòs, non il tempo cronologico, quello che scorre inesorabile, ma la circostanza favorevole, che marca questo scorrere, donando ad essa il senso compiuto. Essa ha la sua origine nella pienezza del tempo che si compie con l’incarnazione di Dio in Gesù il Cristo, l’uomo-Dio, attraverso il quale si compie la definitiva ed eterna alleanza tra il Cielo e la Terra, tra l’eternità e il tempo, e la storia dell’umanità viene portata a compimento nel disegno di salvezza. Ecco è beato chi ha saputo vivere il tempo opportuno; chi ha colto l’occasione da sfruttare per entrare nella vita divina; chi, ascoltato l’annuncio di salvezza, si è lasciato riconciliare con Dio; chi, perseverando sino alla fine, gode della gloria di Dio. Anzi! Ne diventa l’espressione compiuta. Comprendiamo che, sebbene questa nostra vita terrena sia tentata da tanti alti e bassi, essa raggiunge il suo scopo, dopo la purificazione continua di chi si lascia costantemente intercettare dai richiami evangelici, senza sprecarli. Non sono poche le persone nei lunghi millenni dalla creazione di questo mondo ad aver avuto questa linearità di fondo ed ora risplendono come le stelle del cielo, una moltitudine che non ha numero e che non può essere contenuta nel limitato calendario di memorie che la chiesa celebra. Tante di queste persone semplici ma non banali, le abbiamo conosciute anche noi e probabilmente ci hanno affascinato con la loro umiltà al punto da lasciarci di loro un indelebile ricordo e da richiamarci la facilità attraverso cui conseguire l’eternità beata. Papa Francesco ce ne ha dato testimonianza nell’esortazione apostolica che ci ha consegnato due anni fa, la Gaudete et Exultate, nella quale scrive: «Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità” [Cfr Joseph Malègue, Pierres noires. Les classes moyennes du Salut, Paris 1958]» (GeE, 7). Non esitiamo a pregarli e ad invocarli in tutti i momenti della nostra vita.

La condizione di vita
Vi dicevo che nel brano sono poi espresse nove condizioni di vita che preludono alla felicità. Esse non vanno intese in se stesse come felici, ma piuttosto vanno identificate come le possibilità concrete che possono procurare il risultato della felicità eterna. Dunque, coloro che sono poveri in spirito, che sono nel pianto, i miti, coloro che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, gli insultati a causa del nome cristiano si trovano ad essere in uno stato di “mendicanza” nei confronti di Dio, vivono un situazione tale da poter lasciare che Dio agisca in loro, nel loro cuore, nella loro mente, nella loro persona. Così, i poveri in spirito sono mendicanti, poveri, per poter entrare nel possesso del più grande di beni: il suo regno. Così, coloro che sono nel pianto possono lasciarsi consolare. Così, essere miti diventa la condizione per ereditare la terra non al modo dei potenti e dei prevaricatori. Così, l’aver fame e sete della giustizia – chiaramente non riducibile alla dimensione terrena ma estendibile al regno eterno – diventa una fame che non può deludere Dio. Così, chi usa misericordia, trova misericordia. Così, chi ha un cuore libero da ciò che è menzogna e tenebra è illuminato dalla luce che è Dio. Così, chi cerca la pace, quella che si celebra sull’altare del sacrificio della croce ed elimina il peccato del mondo, diventa sacramentalmente figlio di Dio. Così, chi infine è disposto a rischiare il tutto per tutto per ottenere una giustizia che è la salvezza eterna, possiede il Regno dei cieli.

Il presupposto per raggiungere la santità
Tutte queste nove condizioni sono espresse nella lingua originale sono espresse al passivo divino. Che cosa significa? Che queste nove dimensioni sono l’occasione attraverso le quali agisce la Grazia di Dio, piuttosto che lo sforzo umano. Noi spesso ci mettiamo nell’ottica che sia il nostro prometeismo titanico a dover agire come uno sforzo insostenibile e intollerabile. No! È il contrario: l’impegno, a cui siamo chiamati, è invece quello di lasciare che la Grazia di Dio agisca in noi, nel nostro cuore, nel nostro animo, nella nostra vita; la grande fatica a cui dobbiamo necessariamente sottoporci è quella di avere il coraggio di accogliere la sua Grazia gratis data. Infatti da chi saranno concessi il Regno dei cieli, la terra, la consolazione …? Da Dio, da lui solo! E queste occasioni sono aperte ad ogni uomo!

Conclusione
Perciò, un beato chi è? È un credente che ha scoperto non solo quanto sia essenziale stare con Dio, ma anche lasciarsi plasmare da Lui. Non è una persona forte ed eroica, ma è così debole che sa abbandonarsi alle braccia amorevoli di Dio! Per questo è beato, felice! Per questo scopre che in ogni situazione Dio è la vera ed unica risposta giusta! Per questo scopre che la sua vera dimensione di vita altro non è che la visione di Dio! Come scriveva sant’Ireno, padre della Chiesa del II secolo,: «Gloria Dei homo vivens! Vita, autem, vera visio Dei!», la gloria di Dio è la vita dell’uomo, ma la vita vera altro non è che la visione di Dio! Come hanno richiamato i padri della Chiesa contemporanea nel Concilio Vaticano II: «È dunque evidente per tutti, che tutti coloro che credono nel Cristo di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità e che tale santità promuove nella stessa società terrena un tenore di vita più umano. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, seguendo l’esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo. Così la santità del popolo di Dio crescerà in frutti abbondanti, come è splendidamente dimostrato nella storia della Chiesa dalla vita di tanti santi» (LG, 40)
Buona festa a tutti
Padre Marco