Indossare l’abito nuziale. Omelia per la 28ma domenica del tempo ordinario
Miei cari,
ci è guida per la nostra riflessione ancora una parabola singolare per i toni e per le immagini usate che, al nostro orecchio occidentale e contemporaneo, possono risuonare strane e difficili, pur essendo consapevoli che questo genere letterario usato da Gesù accentui spesso le espressioni. Nel brano di oggi l’evangelista Matteo (Mt 22,1-14) narra dell’invito di un Re alla festa di nozze del proprio Figlio. Questa chiamata regale viene, dapprima, disattesa dagli invitati prescelti, che alla festa preferiscono le occupazioni quotidiane: «Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero» (Mt 22,5-6). Al che il re «si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città» (Mt 22,7). All’eccidio e alla distruzione segue un nuovo invito del re, offerto, in questa seconda occasione, gratuitamente e indistintamente: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali» (Mt 22,9-10). Ma anche in questa seconda occasione qualcosa ancora non va per il verso giusto. Infatti, un ospite giunge alla festa senza abito nuziale e subisce la violenta reazione del Re, che lo punisce severamente: «Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 22,12-14). Tanti elementi, dunque, ci si presentano e così particolari da esigere un approccio unitario per essere compresi e chiariti. Vediamone i quattro principali che, riassuntivi, spiegano i restanti.
La festa di nozze
Il contesto è quello di una festa di nozze non di una persona qualunque (e già ci sarebbe da far festa perché le nozze sono un evento non solo per una famiglia ma per un intero clan tribale), ma del Figlio del Re. In ogni cultura, specialmente quelle orientali, le nozze rappresentano un momento solenne e di gioia a cui nessuno si può sottrarre: la composizione di una nuova famiglia è non solo un momento di letizia fine a se stesso ma comporta l’arricchimento della comunità stessa, che vede ampliate e accresciute le relazioni all’interno di più famiglie, con l’aggiunta di nuove creature, che nasceranno dall’unione dei due nubendi. Ma in questa parabola c’è anche “un di più”, costituito dal fatto che è il Figlio del Re a sposarsi, le cui nozze diventano per quell’intero regno un evento propizio, al quale non sottrarsi, perché la ricaduta non sarà limitata ad un gruppo, ma all’intero reame. Un clima solenne, dunque, gioioso e gravido di attese e di prospettive da cui tutti potranno trarre qualche beneficio. Eppure, tutto questo non basta a far staccare dalle semplici occupazioni quotidiane i primi invitati, ritenuti degni e scelti, termini che, nel linguaggio biblico, significano “amati”. E, cosa singolarissima, costoro si sono incatenati agli aspetti secondari della vita al punto da rifiutare scientemente e consapevolmente quell’occasione propizia, quell’appuntamento che avrebbe dato loro il senso complessivo delle loro fatiche quotidiane. Di qui la reazione di morte che ne segue tanto nei confronti dei messi quanto nei primi invitati. Va ricordato, inoltre, che il tema delle nozze, tanto nell’Antico Testamento quanto nel Nuovo, è il simbolo dell’alleanza con il Signore e del Regno di Dio che giunge. Tantissime sono le narrazioni e gli episodi a questo riguardo. Ne ricordo soltanto uno del vangelo di Giovanni, che costituisce il primo dei segni del Regno, il banchetto nuziale di Cana di Galilea, nel quale «Gesù diede inizio ai suoi miracoli, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Gv 2,11).
Le nozze sono così l’espressione della partecipazione dell’uomo alla gioia di Dio, quella non frammentaria, ma integrale, come ricorda ancora lo stesso evangelista Giovanni: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,10-11). Oppure, l’apostolo Paolo rammenta che questa alleanza sponsale è un invito a vivere della vera pace divina, non fondata sulla legge del più forte («si vis pacem, para bellum», se vuoi la pace, armati e preparati a combattere, dicevano gli antichi), ma sull’amore: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia» (Ef 2,13-16). Infatti, come rimarcava altresì un padre della Chiesa antica, sant’Ireneo di Lione, «la gloria di Dio è l’uomo che vive e la vera vita è la visione di Dio» (Adv. Haer., IV, 20,7), volendo significare con queste parole che l’uomo non può essere pensato in astratto o separato dal rapporto costitutivo che lo lega a Dio, il quale lo fa esistere in ogni momento della sua vita, mentre fuori dalla relazione con il suo creatore, l’uomo è morto e non è più vivente. San Giovanni Paolo II, novello padre della Chiesa del nostro tempo, scriveva nella lettera programmatica del suo pontificato che «quest’uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché l’uomo – ogni uomo senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole» (Redemptor hominis, 14). Tanto basta per comprendere che cosa significano, dunque, queste nozze del Figlio del Re per ogni uomo: sono le nozze dell’Agnello con la Sua Sposa, la Chiesa (cfr. Ap 19-22); sono le nozze mistiche, di cui la Celebrazione eucaristica è l’anticipo e il pegno della gloria che verrà (cfr. ant. O Sacrum Convivium).
L’invito alla festa di nozze
Se questo è il quadro generale, in esso riluce un particolare aggiunto: l’invito del re per le nozze del Figlio amato è gratuito e reiterato, al limite della caparbietà, nonostante il duplice rifiuto che subisce. Dio è buono verso di noi, ci offre gratuitamente la sua amicizia, ci offre gratuitamente la sua gioia, ci offre gratuitamente la sua salvezza. Nonostante le mancate adesioni dei chiamati, il progetto di Dio non si interrompe. Di fronte al rifiuto dei primi invitati Dio non si scoraggia, non sospende la festa, ma ripropone l’invito allargandolo oltre ogni ragionevole limite. Il Vangelo, respinto da qualcuno, trova così un’accoglienza inaspettata in tanti altri cuori. Lo attestano le parole ispirate, richiamate dalla IV preghiera eucaristica, che esprimono nitidamente i sentimenti di Dio, al punto da donare la cosa più preziosa, il Figlio Suo Gesù Cristo: «quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare. Molte volte hai offerto agli uomini la tua alleanza, e per mezzo dei profeti hai insegnato a sperare nella salvezza. Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio come salvatore. Egli si è fatto uomo per opera dello Spirito Santo ed è nato dalla Vergine Maria; ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana. Ai poveri annunziò il vangelo di salvezza, la libertà ai prigionieri, agli afflitti la gioia. Per attuare il tuo disegno di redenzione si consegnò volontariamente alla morte, e risorgendo distrusse la morte e rinnovò la vita. E perché non viviamo più per noi stessi ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato, o Padre, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti, a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione».
Gli invitati alle nozze
Dio, dunque, si rivolge dapprima a coloro che sono stati scelti per primi, il popolo della prima alleanza, Israele, poi, al rifiuto e al misconoscimento del Messia, la proposta, altrettanto gratuita, viene indirizzata a tutti coloro che vengono trovati al limitare di tutte le strade, siano essi buoni siano essi cattivi, senza distinzione alcuna. La bontà di Dio, infatti, non ha confini e non discrimina nessuno: per questo il banchetto dei doni del Signore è universale, proprio per tutti. Come lo descrive il profeta Isaia nella prima lettura di oggi (Is 25,6-10). Se a tutti, dunque, è data la possibilità di rispondere al suo invito e alla sua chiamata, nessuno ha, invece, il diritto di sentirsi privilegiato o di rivendicare un’esclusiva. Tutto questo ci induce a vincere l’abitudine di collocarci comodamente al centro. Non ci sono esclusive, come si diceva nelle scorse domeniche, che possano assicurarci di aver acquisito uno stato duraturo. Ne sono prova i primi invitati, i prescelti, coloro che amati per primi per singolare privilegio, sprecano l’occasione a loro concessa, presumendo di possedere già tutto al punto tale da ignorare l’invito del Re e dedicarsi solo agli aspetti secondari dell’esistenza quotidiana, ritenuti più meritevoli della festa di nozze. Essi avverano così il detto evangelico: «gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi» (Mt 20,16). Infatti, la parabola di oggi continua dicendo che i secondi invitati sono quelli che stanno non tanto «ai crocicchi delle strade» (Mt 22,9) – una traduzione impropria – ma ai limiti delle stesse contrade del mondo. Questi limiti non sono altro che le periferie esistenziali, nelle quali troppi «stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1,79), perché privi della luce di Dio e attendono la visita «di un Sole che sorge per rischiarare» (Lc 1,78) i loro cuori mediante la Grazia. È il dono della salvezza che, come indica la parola grazia/gratis, è totalmente donato ed è rivolto continuamente e costantemente in ogni tempo della vita, proprio perché ogni istante diviene «il momento favorevole, … il giorno della salvezza!» (2 Cor 6,2) per giungere alla vera vita, che brilla della luce di Dio.
L’abito nuziale
Ma anche gli ultimi corrono un rischio, evidenziato nella parabola: quello di non presentarsi con l’abito nuziale. Va fatta a questo riguardo una precisazione. Nell’ambiente palestinese era costume che lo sposo desse all’ingresso un abito proprio da indossare per la festa di nozze, così che ciascuno, rivestendolo, mostrasse anche esternamente la sua partecipazione alla gioia dello Sposo (cfr. Gdc 14). Anche gli ultimi corrono, perciò, il rischio di mancare all’appuntamento, rifiutando questo abito. Gli ultimi, i diseredati dalla vita, hanno occasione di mutare esistenza e abitudini, indossando questo abito. Gli ultimi, in quanto tali, non sono così meglio dei primi invitati. Ciò che fa ancora la differenza per costoro e, in definitiva, per tutti è l’abito nuziale. Abito sta per abitudini (cfr habitus) e, se queste non sono virtuose, vanno rigettate e ne occorrono di nuove, di evangeliche, che mostrino nella vita il cambio di marcia avvenuto al sentire l’invito di Dio. Lo chiamiamo evangelicamente conversione. Ma se nemmeno gli ultimi hanno il coraggio di convertirsi, nemmeno per loro la festa sarà tale, nonostante abbiano già sprecato larga parte della loro vita. E la prova, per costoro, sarà ancora di più dolorosa, come attesta l’evangelista nelle parole gravi e tremende del Re: «Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale? Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti» (Mt 21,13-14).
Auguriamoci tutti, primi o ultimi che siamo, di mutar di veste, al richiamo dell’invito delle nozze dell’Agnello!
Buona domenica!
Padre Marco