Lo sguardo amorevole di Dio per ogni uomo che chiama alla salvezza. Omelia per la 25ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
è la prima lettura di questa domenica ad offrirci la chiave interpretativa del brano evangelico di oggi (Mt 20,1-16) e lo  sono precisamente queste parole profetiche di Isaia: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino … Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55, 6.8). Il brano evangelico di Matteo, infatti,  racconta una singolare parabola. Il Regno dei cieli – narra Gesù – è simile ad un padrone di una vigna, che esce all’alba e ingaggia un gruppo di lavoratori, concordando con loro il salario di un denaro per la giornata. Poi esce anche nelle ore successive –  ben cinque volte – fino al tardo pomeriggio, per assumere altri operai che vede disoccupati. Al termine della giornata, il padrone ordina che sia dato un denaro a tutti, anche a quelli che avevano lavorato poche ore. Naturalmente, gli operai assunti per primi si lamentano, perché si vedono pagati allo stesso modo di quelli che hanno lavorato di meno. Il padrone ricorda loro che hanno ricevuto quello che era stato pattuito; se poi Lui vuole essere generoso con gli altri, loro non devono essere invidiosi. Questo in sintesi il racconto. Due, credo, siano i dati che emergono con evidenza e ci offrono lo spunto per la nostra meditazione: il primo,  che la Salvezza del Signore, cioè la partecipazione al suo Regno, giunge in ora della vita; il secondo, che questa Salvezza, data gratuitamente e indistintamente a tutti, è senza merito umano alcuno. Riformuliamoli  in forma di domanda per comprenderne il significato.

1. La salvezza del Signore è il lavoro dell’uomo nella vigna del Signore
Il primo dato potrebbe essere formulato in questa domanda: “Come Dio ci salva?” La risposta della parabola nel suo linguaggio figurato è piuttosto sorprendente. Dio ci salva, chiamandoci a partecipare al suo Regno in ogni momento della nostra vita. L’immagine usata è quella del lavoro nella sua vigna: entrambi i termini – lavoro e vigna – sono carichi di significati.
In un tempo come il nostro comprendiamo molto bene la difficoltà di lavorare, di lavorare bene e di avere un giusto compenso per il lavoro svolto. Quante persone potrebbero raccontare storie sul loro lavoro; quanti potrebbero dire la fatica nell’averlo trovato; altrettanti potrebbero elencare episodi circa il non trovarsi bene sul posto di lavoro o perché non è quello che si sperava di avere o per le condizioni difficili a cui si è sottoposti o perché non è sufficiente per avere il necessario. In tanti, ancora, giovani o più avanti negli anni, potrebbero sottolineare le difficoltà connesse alla ricerca, alla giusta mercede, ai rischi a cui si è sottoposti. Altri, infine, che sono, invece, privi del lavoro potrebbero narrarci il non senso della loro esistenza, la privazione della dignità per non averlo, finanche quasi il “mendicare il pane quotidiano” e la depressione che ne segue. Già, in questo spaccato di cronaca quotidiana notiamo l’importanza del lavoro, attività che non è scelta a caso dal Signore nella parabola, perché in essa sono sottintesi alcuni passi del libro della Genesi.
Per l’uomo, infatti, il lavoro è connaturale. Posto da Dio nel “paradiso terrestre”, all’uomo e alla donna è affidato il compito di custodirlo e coltivarlo. Il lavoro è, così, un’attività degna della persona, alla quale è chiamata da Dio stesso. L’armonia primitiva viene, però, distrutta dal peccato di Eva e di Adamo, cosicché il lavoro diventa fonte di fatica e sofferenza e perde il suo significato di feconda collaborazione con il Creatore. La giusta dimensione del faticare dell’uomo viene ristabilita nella riflessione biblica successiva. Il lavoro viene presentato come una necessità per l’uomo e va interpretato alla luce di un corretto rapporto con Dio: non deve diventare un idolo, il solo scopo della vita, un valore assoluto, ma rimanere sempre legato alla preghiera e subordinato al giorno del riposo, giorno dedicato esclusivamente al culto di Dio.
L’uomo della parabola è, però, chiamato a lavorare nella vigna del Signore. L’ immagine della vigna nell’Antico Testamento indica il popolo d’Israele, definito piantagione amata di Dio. La vigna curata e rigogliosa è l’immagine di tutto l’Israele che cammina alla luce della Parola del suo Dio e lo manifesta nel suo comportamento. La vigna abbandonata e distrutta è l’immagine del giudizio di Dio che “sradica” dalla terra promessa il popolo a lui infedele. La vigna nel Nuovo testamento diventa poi l’immagine della Chiesa, dei credenti ma soprattutto del Regno di Dio e del Paradiso stesso.
Detta così, la chiamata del padrone della vigna, che interpella ad ogni ora a lavorare in essa, indica la partecipazione alla Salvezza per rinnovare o per ritrovare l’alleanza con il Signore.
Torniamo allora alla domanda iniziale da cui siamo partiti: “Come Dio ci salva?” La risposta non può che essere questa: Dio ci salva sempre (il padrone esce per tutto il giorno a chiamare) attraverso la partecipazione (il lavoro) al suo Regno (la vigna). La salvezza del Signore giunge ad ora della vita. Dio ha pazienza nei nostri confronti e non si concede soste nel proporsi all’uomo, che ha scelto come interlocutore. Fosse anche all’ultima ora. Sono significative, a questo proposito, le parole che usano quei servi che non sono stati ancora avvertiti alla fine del giorno: «nessuno ci ha presi a giornata» (Mt 20,7). “Nessuno ci ha presi!” Come a dire, abbiamo vissuto fino ad ora senza che nessuno ci avesse chiamato e dato dignità. Partecipare al Regno di Dio è, infatti, non solo gioia e luce ma anche senso della propria esistenza. È l’opera della grazia di Dio. L’esserne fuori diventa, invece, tristezza, tenebra, non senso, … termini tutti che vogliono indicare tanto il peccato quanto l’inferno, le due dimensioni negative per eccellenza che si configurano come disumanizzanti e distruttive di ogni esistenza che sia tale. Per questa ragione, Dio, che non si stanca di chiamare al lavoro nella sua vigna, non può permettere che nessuno non abbia la sua possibilità di partecipare alla gioia del suo regno. Infatti, «Egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”» (Mt 20,7). Questa è la risposta alla domanda, introdotta bene, come si diceva, dal profeta Isaia: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino» (Is 55, 6).

2. La salvezza del Signore è gratuita
Ma c’è un secondo particolare degno di nota: la giusta retribuzione. Anche in questo caso il profeta Isaia chiarisce il senso della giusta mercede che il padrone dona ai servi che hanno lavorato, configurando che cosa sia la giustizia ossia la Salvezza di Dio, chiedendo a ciascuno di noi di fare un’inversione di marcia: «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8).
Vediamo il fatto. Il padrone, uscendo la mattina di buon ora, chiama i primi servi che trova per lavorare nella sua vigna, garantendo loro un giusto salario: «Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna» (Mt 20,2). Un denaro era la paga giusta di una giornata di lavoro. Tuttavia, se abbiamo notato, con tutti gli altri chiamati nelle ore successive il salario non verrà più quantificato, ma il padrone dirà a tutti sino agli ultimi: «quello che è giusto ve lo darò» (Mt 20,4). Quello che è giusto, dunque; e ciò che è giusto non serve che sia quantificato, perché è giusto in se stesso. Infatti, a dichiararlo è Dio, che è il Giusto per eccellenza. Questo fatto non ha bisogno di alcuna altra spiegazione. Vale a dire: Dio dona la sua Salvezza attraverso il sacrificio del Giusto, Gesù, il Crocifisso-Risorto. Chi oserebbe lamentarsi di ciò? Chi oserebbe discutere con il Signore del dono gratuito ed incommensurabile della sua Salvezza attraverso il Figlio amato?
Eppure, nonostante la grandezza del dono (un padre che dà la vita del figlio!), qualcuno si permette di obiettare e Gesù ne dimostra l’ipocrisia per ammonirci tutti. Il padrone, infatti, non paga da subito i primi ad essere stati chiamati, ma comincia dagli ultimi. (Mt 20,8). Essi ricevono il giusto: «un denaro» (Mt 20,9). Chi oserebbe lamentarsi? Non era forse il pagamento pattuito? Il giusto, appunto! Eppure, i primi mormorano, loro che, vedendo l’ “apparente ingiustizia” – e sottolineo “apparente ingiustizia” – hanno da ridire: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene» (Mt 20,12-14). Notiamo: Dio non è affatto adirato con i primi, perché li chiama «amici». Non può sfuggire che è sottinteso un altro  passo evangelico, nel quale si parla ancora della vite e dei frutti: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri» (Gv 15,15-17). A tema è, dunque, l’amore e l’amore con il quale Dio ama è smisurato e non quantificabile. Allora la giustizia non è più secondo le categorie umane ma divine. Nel diritto romano è famoso il detto «unicuique suum tribuere», cioè «dare a ciascuno quello che merita», ma noi, che siamo peccatori, quale merito possiamo vantare di fronte a Dio? La giustizia umana agisce secondo la logica dell’utilità, del rendimento, dell’efficacia. Ma se così fosse anche quella divina chi oserebbe vantare qualche diritto di fronte a Dio? Guardiamo al tempo presente: la cultura occidentale con questa logica ha prodotto la conseguente “logica dello scarto” tanto delle cose (la natura sta languendo e si ribella) quanto delle persone (i diversamente abili, gli anziani, gli invalidi, …). Siamo di fronte ad un mondo cinico, legato solo al vantaggio e allo svantaggio. Inutile fare esempi, perché tutto è ormai alla luce del sole e sotto la vista di tutti! La pandemia presente ce lo sta dimostrando ampiamente …
Concludo.
Gesù vuole farci contemplare lo sguardo di quel padrone: lo sguardo con cui vede ognuno degli operai in attesa di lavoro, e li chiama ad andare nella sua vigna. È uno sguardo pieno di attenzione, di benevolenza; è uno sguardo che chiama, che invita ad alzarsi, a mettersi in cammino, perché vuole la vita per ognuno di noi, vuole una vita piena, impegnata, salvata dal vuoto e dall’inerzia. Dio che non esclude nessuno e vuole che ciascuno raggiunga la sua pienezza. Questo è l’amore del nostro Dio, del nostro Dio che è Padre.
Buona domenica!
Padre Marco