Un “ma” che fa la differenza. Omelia per la 21ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
continuiamo anche in questa 21ma domenica del tempo ordinario il nostro cammino di verifica sulla nostra fede. A guidarci è Gesù stesso che, nel passo evangelico di oggi (Mt 16,13-20), si rivolge direttamente ai suoi discepoli, chiedendo loro la verità del rapporto che stanno sperimentando con Lui, dopo un periodo di relazione intensa e distesa nel tempo. Il testo evangelico ha, infatti, il sapore di un riscontro per comprendere i rapporti vicendevoli che si sono ormai creati tra Gesù e i primi discepoli. E sarà un “ma”, una congiunzione avversativa, a creare la differenza in questa relazione tra un “prima”, il momento in cui Gesù pone loro la domanda «ma voi chi dite che io sia?», e un “dopo”, che avrà, invece, come spartiacque la professione di fede di Pietro, il conferimento a lui del primato sugli apostoli, con il compito di confermarli in questa fede da lui confessata e l’annuncio da parte di Gesù della Sua Passione-Morte-Resurrezione.
Andiamo, dunque, per gradi.

Il contesto
Richiamo, anzitutto, l’attenzione sul luogo, sul tempo e sul contesto del passo evangelico appena proclamato.
Tutto si svolge presso le fonti del Giordano, alla frontiera della terra giudaica, sul confine verso il mondo pagano. Ancora una volta la Parola di Dio “fuoriesce” e “deborda” dalla terra d’Israele per dirsi già tutta quanta alle Genti che la bramano, l’attendono, la desiderano. Nulla di Dio può essere limitato, proprio perché è il Suo amore divino a “dettare legge”, una normativa che, proprio perché legata all’amore, eccede ogni limite. Scrive san Bernardo di Chiaravalle «L’amore è sufficiente per se stesso, piace per se stesso e in ragione di sé. È a se stesso merito e premio. L’amore non cerca ragioni, non cerca vantaggi all’infuori di sé. Il suo vantaggio sta nell’esistere. Amo perché amo, amo per amare» (Discorsi sul Cantico dei Cantici: Disc. 83, 4-6; Opera omnia, ed. Cisterc. 2 [1958] 300-302).
In questo luogo di confine tra l’Israele di Dio e il mondo dei Popoli scatta anche l’ora cruciale, il momento di una svolta decisiva nel cammino del Signore. Gesù da quest’ora si avvia senza indugi verso Gerusalemme e, per la prima volta, dichiara ai discepoli che questo itinerario verso la Città Santa è la strada verso la Croce: «Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16,21). Il Signore è in cammino verso la Croce, ma al contempo è anche in cammino verso la vastità del mondo, nella quale Egli ci precede come Risorto, perché nel mondo rifulga la luce della sua parola e la presenza del suo amore.
È perennemente in cammino – questo è il contesto – perché mediante Lui, il Cristo crocifisso e risorto, arrivi nel mondo Dio stesso. In questo senso l’apostolo Pietro, nella sua Prima Lettera, si qualificherà come «testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi» (1Pt 5,1). Così per la Chiesa il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua esistono sempre insieme. La Chiesa, infatti, è sempre sia il grano di senapa sia l’albero fra i cui rami gli uccelli del cielo si annidano. La Chiesa – ed in essa Cristo – soffre anche oggi. In essa Cristo viene sempre di nuovo schernito e colpito; sempre di nuovo si cerca di spingerlo fuori del mondo. Sempre di nuovo la piccola barca della Chiesa è squassata dal vento delle ideologie, che con le loro acque penetrano in essa e sembrano condannarla all’affondamento. E tuttavia, proprio nella Chiesa sofferente Cristo è vittorioso. Nonostante tutto, la fede in Lui riprende forza sempre di nuovo. Anche oggi il Signore comanda alle acque e si dimostra Signore degli elementi. Egli resta nella sua barca, nella navicella della Chiesa. Così anche nel ministero di Pietro si rivela, da una parte, la debolezza di ciò che è proprio dell’uomo, ma insieme anche la forza di Dio: proprio nella debolezza degli uomini il Signore manifesta la sua forza, dimostrando che è Lui stesso a costruire, mediante uomini deboli, la sua Chiesa.

Le opinioni
In questo luogo, in quest’ora cruciale e in questo contesto che è perennemente attuale scatta la prima domanda di Gesù ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13). Gesù li interroga, quasi per un sondaggio d’opinione.
«Risposero: Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16,14). Questa risposta della gente è univoca, bella e sbagliata insieme. Dicono che sei un profeta! Una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; sei la bocca di Dio e la bocca dei poveri.
Tutto questo non è falso, ma non basta: è inadeguato.
Si tratta, in effetti, di andare in profondità, di riconoscere la singolarità della persona di Gesù di Nazareth, la sua novità. Anche oggi è così: molti accostano Gesù, per così dire, dall’esterno. Grandi studiosi ne riconoscono la statura spirituale e morale e l’influsso sulla storia dell’umanità, paragonandolo a Buddha, a Confucio, a Socrate e ad altri sapienti e grandi personaggi della storia. Non giungono però a riconoscerlo nella sua unicità. Ma Gesù non è un uomo del passato, fosse pure il più grande di tutti, che ritorna. Perciò Gesù li invita a fare una scelta che li porterà a distinguersi dalla folla per diventare la comunità dei credenti in Lui, la sua “famiglia”, l’inizio della Chiesa. In effetti, ci sono due modi di “vedere” e di “conoscere” Gesù: uno – quello della folla – più superficiale, l’altro – quello dei discepoli – più penetrante e autentico.

Il “ma” che pone la differenza cristiana
Gesù, dunque, ripete la sua domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). E con quel “ma” Gesù stacca decisamente i discepoli dalla massa, come a dire: ma voi, che siete con me ogni giorno e mi conoscete da vicino, che cosa avete colto di più? Gesù aspetta dai suoi una risposta alta ed altra rispetto a quelle dell’opinione pubblica. E, in effetti, proprio una tale risposta scaturisce dal cuore di Simone detto Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16); nell’evangelo di Luca l’affermazione è: «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20); infine in Giovanni: «Tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,69). Sono tutte risposte giuste, valide anche per noi. Simon Pietro si ritrova sulle labbra parole più grandi di lui, parole che non vengono dalle sue capacità naturali. Forse lui non aveva fatto le scuole elementari, ed è capace di dire queste parole, più forti di lui! Ma sono ispirate dal Padre celeste («E Gesù: Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» Mt 16,17), il quale rivela al primo dei Dodici la vera identità di Gesù: Egli è il Messia, il Figlio inviato da Dio per salvare l’umanità. E da questa risposta, Gesù capisce che, grazie alla fede donata dal Padre, c’è un fondamento solido su cui può costruire la sua comunità, la sua Chiesa. Perciò dice a Simone: «Tu, Simone, sei Pietro – cioè pietra, roccia – e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18)
Anche con noi, oggi, Gesù vuole continuare a costruire la sua Chiesa, questa casa con fondamenta solide ma dove non mancano le crepe, e che ha continuo bisogno di essere riparata. Sempre. La Chiesa ha sempre bisogno di essere riformata e riparata. Noi certamente non ci sentiamo delle rocce, ma solo delle piccole pietre. Tuttavia, nessuna piccola pietra è inutile.
Anzi! Nelle mani di Gesù la più piccola pietra diventa preziosa, perché Lui la raccoglie, la guarda con grande tenerezza, la lavora con il suo Spirito e la colloca nel posto giusto, che Lui da sempre ha pensato e dove può essere più utile all’intera costruzione. Nel libro dell’Apocalisse c’è un passo bellissimo a questo riguardo: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi la riceve» (Ap 2,17). Ognuno di noi è una piccola pietra, ma nelle mani di Gesù partecipa alla costruzione della Chiesa. E tutti noi, per quanto piccoli, siamo resi “pietre vive”, perché quando Gesù prende in mano la sua pietra, la fa sua, la rende viva, piena di vita, piena di vita dallo Spirito Santo, piena di vita dal suo amore, e così abbiamo un posto e una missione nella Chiesa: essa è comunità di vita, fatta di tantissime pietre, tutte diverse, che formano un unico edificio nel segno della fraternità e della comunione. Come dirà ancora Pietro nella sua prima lettera: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo». (1Pt 2,4-5)

Concludo.
Giunti a questo punto, la domanda di Gesù arriva esplicita e diretta anche a ciascuno di noi. Anche oggi Egli ci chiede: ma tu, chi dici che io sia per te? Ma tu, che sei qua con me alla Cena Pasquale, che relazione hai con me? Ma tu che partecipi alla Domenica chi incontri?
In questa domanda è il cuore pulsante della fede. Gesù non cerca formule o parole, cerca relazioni. Non vuole definizioni ma coinvolgimenti. La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te?
A ciascuno di noi la risposta.
Buona domenica!
Padre Marco