Il ricordo del card. Corti nelle parole del suo segretario, don Gianluigi Cerutti

Il Vescovo Renato per i suoi familiari e amici, per generazioni di preti che nella diocesi ambrosiana l’anno avuto come stimato formatore in seminario e poi vicario generale, è sempre rimasto “don Renato”. Quanto affetto e quanta stima in quel “don Renato”!
Una persona un po’ da interpretare, nella sua squisita riservatezza. Come andava interpretata la sua grafia essenziale e stilizzata. Ero diventato esperto di questa interpretazione per le infinite volte in cui ho dettato i suoi testi – il Vescovo Renato scriveva tutto, scriveva sempre – per essere trascritti. La sua figura esile, ascetica e anche signorile suscitava rispetto, all’inizio un po’ di soggezione, poi addirittura tenerezza. La sua personalità era come rivestita da un velo di timidezza impreziosito però dal ricamo della gentilezza e della delicatezza d’animo. Alla sua scuola sono cresciuto anch’io: vent’anni come suo segretario, in vita comune, con le suore missionarie di Gesù eterno sacerdote, e la collaborazione della signora Rosanna. Non si contano le lettere che in bozza ho preparato per lui (rispondeva a tutti; ci faceva dare un riscontro anche alle cartoline); non si contano i chilometri percorsi nel vasto territorio della nostra diocesi.
Pur nella fatica di un impegnativo servizio ero arricchito da un tempo supplementare di formazione. Artista della parola sempre misurata, maestro dell’ascolto intenso, mi e ci faceva comprendere ogni giorno il significato del suo motto episcopale ripreso dal cardinale, oggi santo, John Henry Newman “cor ad cor loquitur”. A questo riguardo possiamo notare la coincidenza del giorno: nel concistoro del 12 maggio 1879 Newman veniva creato cardinale; il vescovo Renato ci ha lasciati lo scorso 12 maggio.
Apprezzato per la sua predicazione, il caro vescovo parlava anche con il silenzio che rivelava la sua riflessione o il suo disagio interiore o l’acuta sofferenza per qualche problema. Si esprimeva anche con il movimento delle mani, le mani di un pianista, e comunicava con lo sguardo e con gli occhi che molte volte ho visto brillare luminosi, quando parlava del Signore, della Chiesa, della missione apostolica, di qualche santo o testimone, di qualche prete o religiosa, delle persone semplici e dei poveri. Quante volte ha ripetuto che non dobbiamo scandalizzare i semplici!
La dedizione esemplare nel suo ministero episcopale si alimentava di intensa preghiera nella cappellina del vescovado. Dal caratteristico altare circolare si passava poi alla mensa per i pasti comuni, molte volte condivisa con ospiti, soprattutto sacerdoti, nella delicatezza di un invito.
Il vescovo Renato ci è stato testimone della “spiritualità reale” alla scuola di Newman. Soltanto la fede reale risulta contagiosa, accende il fuoco dell’amore che suscita una vocazione e che spinge alla missione. Ai seminaristi proponeva di diventare preti disponibili a coltivarsi nell’arte dell’accompagnamento spirituale e nello spirito missionario. Proprio come era lui!
Ci ha insegnato ad amare la Chiesa come un figlio che non si permette di parlare male di sua madre e ci ha additato la priorità: “il miracolo sarebbe la santità”! Ha ricevuto la porpora con la sorpresa e l’incredulità di un bambino, non tanto “honoris causa”, quanto “laboris causa”! Si è consumato come una candela, “luce gentile” che ora arde senza spegnersi nella Pasqua di Cristo!