Bassetti: spirito critico per le nuove sfide

«Credo che, con lo spirito critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto, per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena. Sono molti, sono pochi? Ancora una volta, non è questione di numero, ma di luce, lievito e sale: ogni società vive e progredisce se minoranze attive ne animano la vita spirituale e si mettono al servizio di chi nemmeno spera più». Lo ha detto stamattina il cardinale presidente della Cei Gualtiero Bassetti, nel suo intervento di apertura dei lavori dell’Assemblea generale, in corso sino al 24 maggio. Di seguito  il testo integrale dell’intervento.

Cari Confratelli, portiamo tutti nel cuore la gioia per l’incontro – fraterno, franco e prolungato – che abbiamo avuto ieri sera con il Santo Padre. Sentiamo nostra la sua preoccupazione per la crisi delle vocazioni – non a caso, ha parlato di «emorragia» – e vedremo come concretizzare il suo suggerimento a «una più concreta e generosa condivisione fidei donum» tra le nostre Diocesi. La riconoscenza che ha espresso per «il molto che nella CEI si è fatto negli ultimi anni sulla via della povertà e della trasparenza», ci stimola tutti a una gestione dei beni e a una testimonianza che siano davvero esemplari. Allo stesso tempo, non intendiamo nemmeno sottrarci alla terza questione, sollevata dal Papa, relativa alla riduzione delle Diocesi italiane.

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Cari Confratelli, la fiducia che tanto voi quanto il Santo Padre avete voluto esprimermi, mi ha portato in questi mesi a uscire sempre più frequentemente dalla “mia” Perugia, per un ministero dell’ascolto e dell’incontro, della consolazione e dell’incoraggiamento. Ho cercato di prendere sul serio il mandato che mi avete affidato, senza altra ambizione che non sia quella di servire la Chiesa.

La frequentazione sistematica della Segreteria Generale della CEI, il tempo speso per la conoscenza diretta di responsabili e dipendenti, la condivisione di problemi e le attese di cambiamento che dal territorio si riversano sul centro, mi hanno reso ancora più consapevole della necessità di un impegno puntuale e condiviso.

È con questo sguardo che insieme ci aiuteremo ad affrontare il tema principale della nostra assise: Quale presenza ecclesiale nell’attuale contesto comunicativo. Si tratta di un argomento inserito a pieno titolo nella prospettiva del decennio. Penso, in particolare, a dove i nostri Orientamenti pastoralievidenziano che «l’impegno educativo sul versante della nuova cultura mediatica dovrà costituire negli anni a venire un ambito privilegiato per la missione della Chiesa». L’obiettivo di fondo che ci siamo dati in questa Assemblea è quello di mettere a fuoco una lettura dello scenario della comunicazione in funzione della nostra presenza e del nostro impegno missionario ed educativo. A tale orizzonte rinviano anche gli ambiti che approfondiremo nei lavori di gruppo.

Rientra nella medesima prospettiva anche l’altra tematica su cui la nostra Assemblea è chiamata a fare il punto, ossia il cammino verso il Sinodo dei Vescovi del prossimo ottobre, dedicato a I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Visitando diverse delle vostre Diocesi, constato come l’intuizione del Santo Padre si stia rivelando un’opportunità, che vede le nostre Chiese impegnate in un importante lavoro di ascolto delle nuove generazioni e, allo stesso tempo, di dialogo con le istituzioni locali. Anche il Sinodo non fa che confermare l’importanza dell’impegno educativo: nel concreto, significa mettere l’accento, innanzitutto, sulla responsabilità di noi adulti nel testimoniare ai giovani ragioni di vita, coinvolgendoli nell’esperienza cristiana; quindi, sulla centralità dei legami e degli affetti, a cui dà un contributo essenziale l’appartenenza ecclesiale; infine, sulla consapevolezza che la maturità, verso la quale le nuove generazioni sono incamminate, cresce in misura proporzionale alla loro disponibilità a restituire, a prendersi cura, a donare qualcosa di sé agli altri.

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A questo nostro convenire di pastori, che amano il popolo in mezzo al quale sono stati posti, guarda sicuramente con attenzione l’intero Paese, specie in una fase delicata come l’attuale.

Non sarebbe difficile, probabilmente, dar fiato a una serie di preoccupazioni, a fronte delle difficoltà in cui si dibatte la nostra gente, a causa di una crisi economica decennale che ha profondamente inciso sulla stessa tenuta sociale.

Non sarebbe difficilenemmeno osservare come a tale stato di prostrazione sia venuto associandosi un clima di smarrimento culturale e morale, che ha prodotto un sentimento di rancore diffuso, di indifferenza alle sorti dell’altro, di tensioni e proteste neanche troppo larvate.

Non sarebbe, infine, difficilericonoscere pure che un simile disagio sociale ha avuto effetti pesanti anche in politica, effetti visibili nella situazione di stallo e di confusione di ruoli che ha segnato l’avvio di questa Legislatura.

Manon credete, cari Confratelli, che anche nel contesto attuale ci siano ragioni fondate per dire che la partita non è persa?  Non credete che le radici siano buone e il Paese più sano di come spesso lo si dipinga? Non credete che, non solo non siamo semplicemente allo sbando o alla deriva, ma ci sia ancora tanta disponibilità per il bene comune?

Tra pochi mesi celebreremo il centenario dell’appello ai Liberi e Forti, lanciato da un gruppo di tenaci democratici, riuniti intorno a don Luigi Sturzo. Fu l’inizio di una storia, quella del cattolicesimo politico italiano, che ha segnato la nostra democrazia e che ci ha dato una galleria di esempi alti di dedizione, di umiltà, di intelligenza. Abbiamo vissuto momenti gloriosi e momenti dolorosi, sperimentato la forza ma anche la debolezza, la meschineria, il tradimento, la diaspora. Vecchi partiti si sono sgretolati, nuovi soggetti sono venuti sulla scena, ma nessuno può negare che nelle migliaia di Comuni italiani ci sono persone che senza alcuna visibilità e senza guadagno reggono le sorti della nostra fragile democrazia. Chi si impegna nell’amministrare la cosa pubblica deve ritornare ad essere un nostro figlio prediletto: dobbiamo mettere tutta la forza che ci resta al servizio di chi fa il bene ed è davvero esperto del mondo della sofferenza, del lavoro, dell’educazione. Quello che ha sempre guidato i cattolici italiani – penso, ad esempio, al beato Giuseppe Toniolo – è stato un grande bisogno di distinguersi e di portare alta la divisa evangelica pure in politica. La storia della Chiesa italiana è stata una storia importante anche per la particolare sensibilità per l’aspetto politico dell’evangelizzazione: nessuna Conferenza episcopale come la nostra possiede un tesoro così ricco di documenti e di testimonianze. Dobbiamo esserne fieri, ma soprattutto è venuto il momento di interrogarci se siamo davvero eredi di quella nobile tradizione o se ci limitiamo soltanto a custodirla, come talvolta si rischia che avvenga perfino per il Vangelo.

Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni?  Perché il dibattito tra noi è così stentato? Di che cosa abbiamo timore? Gli spazi che la dottrina e il magistero papale ci hanno aperti sono enormi – come ribadiva ieri sera il Santo Padre – ma sono spazi vuoti se non li abitiamo. E spazi dottrinali vuoti o pieni di pia retorica non sono sufficienti a contenere le tragedie di questa umanità in mezzo alla quale la misericordia del Signore ci ha posto.

Cari amici, la fede non può essere fumo, ma fuoco nel cuore delle nostre comunità. Credo che, con lo spirito critico di sempre, sia giunto il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza nella politica italiana per fare un esame di coscienza e, soprattutto, per rinnovare la nostra pedagogia politica e aiutare coloro che sentono che la loro fede, senza l’impegno pubblico, non è piena. Sono molti, sono pochi? Ancora una volta, non è questione di numero, ma di luce, lievito e sale: ogni società vive e progredisce se minoranze attive ne animano la vita spirituale e si mettono al servizio di chi nemmeno spera più.

In questo momento cruciale della nostra storia, esprimiamo con convinzione la nostra stima al Presidente della Repubblica per la guida saggia e paziente con cui sta facendo di tutto per dare un governo all’Italia.

Nel contempo, ricordiamo a tutti come non basti nemmeno avere un governo per poter guidare il Paese. Occorre – questo Paese – conoscerlo davvero, conoscerne e rispettarne la storia e l’identità; bisogna conoscere il mondo di cui siamo parte e nel quale la nostra Repubblica – cofondatrice dell’Europa unita – è desiderosa di ritornare a svolgere la sua responsabilità di Paese libero, democratico e solidale. Anche la nostra Chiesa è attraversata da un respiro europeo e chi frequenta i nostri confratelli sa quanto le Chiese del Continente siano alla ricerca di idee e di entusiasmi per educare e favorire la crescita di un’etica pubblica.

Questi principi fanno parte integrante della nostra cultura. A questi principi intendiamo dare un contributo reale, convinti che – come dicevo a inizio d’anno – questo sia un tempo in cui «occorre ricostruire la speranza, ricucire il Paese, pacificare la società».

Prendiamo, dunque, le distanze dal disincanto, dalla prepotenza e dalla sciatteria morale che ci circondano. Prendiamo le distanze dalle nostre stesse paure. Facciamolo in nome del Vangelo e sempre con il sorriso e a voce bassa. Ci troveremo a condividere la strada con tante persone buone, sincere e oneste.

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Con analogo respiro e disponibilità intendiamo volgerci anche al Mediterraneo.

Davanti agli occhi – e soprattutto nel cuore – abbiamo le tante situazioni di estrema instabilità politica e di forte criticità dal punto di vista umanitario. Dalla Libia alla Siria, dall’Iraq a Israele – solo per esemplificare – il Mediterraneo è teatro di conflitti e tragedie, di scelte disperate e di minacce dalle conseguenze incalcolabili.

Quando tutto precipita nel fanatismo e nel fondamentalismo tornano decisive parole e segni che non alimentino l’odio e la violenza, ma la riconciliazione e il dialogo.

Su questa strada – confortato sia dal Santo Padre che dai membri del Consiglio Permanente – ho maturato la convinzione circa la bontà e l’urgenza di dar vita a un Incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo.

In fondo, si tratta di un ritorno a casa. Non dimentichiamo, infatti, che l’area del Mare nostrumè quella che ha visto il nascere e il diffondersi dell’esperienza cristiana con la presenza della Chiesa fin dalle origini. È una Chiesa dalla forte spiritualità martiriale, che – in chiave ecumenica e di dialogo interreligioso – può offrire un contributo importante, in pensieri e azioni, a una cultura della pace. Nel proporre questa occasione di incontro fra i Vescovi del Mediterraneo sono convinto che – in forza della comunione ecclesiale e della nostra capacità di inculturazione – si aiuti a maturare quello sguardo incrociato e complessivo che spesso è assente nell’operato delle singole nazioni o all’interno delle organizzazioni internazionali.

Il confronto tra noi può e deve approfondire ipotesi e modalità con cui promuovere e organizzare l’iniziativa, arrivando a breve anche alla costituzione di un Comitato operativo. La nostra attenzione si focalizza sull’incontro che Papa Francesco vivrà a Bari il prossimo 8 luglio, dal quale non mancheremo di trarre spunti e indicazioni per il nostro cammino.