Il Cristiano Testimone. Congedo dalla teologia del laicato. Prefazione di Franco Giulio Brambilla

La quaestio de laicis attraversa l’intero XX secolo e trova il suo apice nel concilio Vaticano II, ove si è assistito all’intenzione di custodire e rilanciare lo «spazio dei laici», senza tuttavia riuscire a svolgerne in positivo la figura. La tradizionale e benemerita «teologia del laicato» è andata esaurendosi nell’atto in cui la Lumen gentium ha assegnato una valenza positiva alla figura di tutti i credenti – nessuno escluso – conformati a Cristo nel battesimo e membra vive della Chiesa-popolo di Dio.
La novità di questa ricerca sta nella proposta di «storicizzare» il termine e la figura del laico, per innescare un ripensamento radicale della questione, in vista di un fattivo riassestamento della sistematica teologica e della teologia pratica, lasciando affiorare un promettente e suggestivo rilancio nella nozione teologico-fondamentale di cristiano-testimone.

Marco Vergottini, teologo milanese laico, già vice-presidente dell’Associazione Teologica Italiana dal 2003 al 2011, è stato per 25 anni docente di Introduzione alla teologia e di Storia della teologia contemporanea alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano. Attualmente insegna Teologia pastorale a Padova presso la Facoltà teologica del Triveneto. Autore di saggi sul concilio Vaticano II, su Paolo VI e sulla teologia contemporanea, è coordinatore del sito-web www.eancheilpaparema.it. Per EDB ha curato Perle del Concilio. Dal tesoro del Vaticano II (32013).

Franco Giulio Brambilla è vescovo di Novara e uno dei più autorevoli teologi italiani.

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Prefazione

L’opera di Marco Vergottini che abbiamo tra le mani si presenta con la veste di una quaestio disputata su uno dei temi che ha maggiormente marcato l’ecclesiologia del Vaticano II ed è stato ripreso più volte nella teologia seguente. Il laico, infatti, è stato il convitato di pietra per un profondo ripensamento della dottrina del concilio sulla chiesa, nonostante sia noto che le discussioni più accanite siano avvenute sul rapporto tra primato ed episcopato. Nel post-concilio, il leitmotiv è stato “accelerare l’ora dei laici”, uno slogan tanto retoricamente proclamato, quanto praticamente poco esplorato.

Potremmo offrire una chiave d’ingresso alla ricerca di Vergottini seguendo i tre momenti della quaestio disputata medievale, che ha trovato in san Tommaso il suo massimo splendore: il primo che comprendeva la quaestio e la disputatio, il secondo che prevedeva la determinatio, a cui poi seguiva l’editio. I primi due momenti erano svolti in stretto contatto con studenti ed assistenti (opponens e respondens), i secondi due erano propri del Magister regens. La “teologia del laicato” ha attraversato il Novecento come una quaestio disputata, ancora dall’esito incerto e aperto. E non è senza significato che un lavoro di questo spessore, limpido, acuto, linguisticamente accurato e teologicamente critico, si collochi sulla soglia del nuovo millennio.

La quaestio. La quaestio de laicis attraversa tutto il XX secolo e trova il suo momento magico nell’assise conciliare. La quaestio fu posta immediatamente sulla “specificità del laico” in rapporto agli altri stati e/o figure ecclesiali e si è espressa come una “teologia del laicato”, cioè come una comprensione “teologica” del laicato, e non solo come una descrizione storica o sociologica del laico nella chiesa e nel mondo. La determinazione della quaestio potrebbe essere formulata così: la “teologia del laicato” ha cercato di custodire ed esprimere lo “spazio del laico” nella e per la missione della chiesa all’interno dello schema della teologia dei due ordini, rimanendone in qualche modo imbrigliata, ma senza riuscire a svolgerne in positivo la figura. Sotto questo profilo bisogna dichiarare l’esaurimento della “teologia del laicato”, proprio per ereditare lo “spazio del laico” nella missione della Chiesa, che è quello di dire e donare l’evangelo nella storia del mondo.

D’altra parte la domanda sullo “spazio del laico” già nella sua formulazione suppone la negazione di una sua soggettività o protagonismo nella chiesa, che risale come è noto all’inizio del secondo millennio con la riforma gregoriana, quando la chiesa per salvare la libertas ecclesiae difese la sua missione dall’invasione del piede politico, asserragliandosi nel bastione della potestas del clero. La formulazione del Decretum Gratiani del duo sunt genera christianorum ne fissa il quadro di riferimento. La missione della chiesa è riservata ai chierici ad intra ed è lasciata per le cose temporali ai laici ad extra. Il carattere rassicurante dello schema si è consolidato nella modernità con la separazione di ragione e fede e di natura e soprannatura, aggravato dalla dilatazione della laicità nello spazio pubblico.

La questione del laico cristiano quindi oscilla tra la sua rivendicazione di uno spazio nella chiesa accanto ai chierici e ai religiosi e la concessione di un compito nel mondo per una missione che riconosca la sua “indole secolare”. Così la quaestio de laicis assume la duplice valenza di questione ecclesiologica (sugli “stati di vita” nella Chiesa o sulla pluralità/complementarità delle “figure cristiane”) e di questione storico-sociale della “specificità” del laico cristiano. Questo è l’assestamento a cui approda la “teologia del laicato” che per riconoscere uno spazio al laico nella chiesa sembra profilarne il compito specifico nella animazione cristiana del mondo. Detto in modo provocatorio pare che il laico per trovare la sua specificità ecclesiale debba traslocare nel mondo per “animarlo cristianamente” o, secondo l’altra formula, per “ordinare le cose del mondo secondo Dio”. Sta in tale slittamento la quaestio de laicis, ma non sta nel loro déplacement nel mondo la soluzione. Questa è l’ipotesi che attraversa in modo sicuro il percorso della ricostruzione di Vergottini.

Disputatio. Alla quaestio seguiva la disputatio che il magister conduceva con gli studenti e con i propri assistenti (opponens e respondens), il cui compito era di ponderare e discutere la disparità delle autoritates con l’ausilio della ragione dialettica. In questo senso la disputatio era la carne viva del procedimento di conoscenza teologica. L’opera di Vergottini eccelle proprio su questo punto, perché restituisce con limpido acume il dibattito del Novecento sul tema dei laici. In cinque ariosi capitoli, il percorso del lavoro delinea l’architettura della ricerca che, numerose volte ritrattata e talvolta discussa anche in maniera virulenta, ha già mostrato che senza un’ipotesi di ricerca si fatica a uscire “a riveder le stelle”. E mostra come la non sufficiente “posizione” della domanda pregiudica l’“esito” della ricerca.

I capitoli dispari della ricostruzione (I, III, V) raccontano forse i percorsi meno conosciuti della disputatio e si leggono con vero diletto intellettuale e profitto spirituale. Sono come un trittico che ci aiuta a leggere il plesso laico-laicato-laicità con una freschezza che toglie la discussione dalle secche dei poteri e pone la questione del laico come asse critico per ripensare il rapporto chiesa-mondo, e più ancora radicalmente la relazione cristologia-antropologia. In tal modo la quaestio de laicis diventa veramente una crux theologica per l’intelligenza della fede, perché è il crocevia per la teologia della rivelazione e il suo carattere testimoniale, per l’epistemologia teologica e il superamento del dualismo di fede e ragione, per l’ecclesiologia e la sua dinamica missionaria, per il rapporto tra cristologia e antropologia e il carattere storico della loro relazione. Solo così la quaestio de laicis si presenta nella sua cruciale rilevanza teologica.

Il primo capitolo apre l’avventura della ricerca mettendo in discussione l’ardua polisemia del rapporto laico-laicità-laicato nella storia, dichiarando apertamente sia l’indeterminatezza della cifra linguistica (laikós, idiótes, laicus, plebeius, rispettivamente in greco e latino), sia la diversità del referente storico. E, di conserva, mette in guardia da ogni intelligenza teologica della quaestio solo a partire dall’analisi dei campi linguistici. Per non parlare dell’utilizzo moderno e odierno della semantica laico-laicità: fra tutti emerge l’uso francofono di laïcité, che significa neutralità pubblica nei confronti della religione e isolamento della religione nello spazio privato. Nel racconto di Vergottini non mancano anche pertinenti denunce, come quella di I. de la Potterie (1958) che, al momento del fulgore della “teologia del laicato”, ha messo in crisi la retroproiezione di comprensioni moderne sul contesto greco e sui testi neotestamentari e patristici. Nonostante questo, la ripresa di Congar in risposta a de la Potterie, non guadagna il senso della discussione semantica per la comprensione teologica del laico. Infatti, il teologo domenicano sembrava retroproiettare l’accezione escludente di laico («membro non chierico del popolo di Dio») fin sulla comprensione del Nuovo Testamento.

Anche la lettura storico-epocale, che mira a rilevare un continuum della figura del laico nella storia cristiana al di là delle sue mutazioni storiche, si fa strada tra un primo modello che in Occidente ritrova evoluzioni e costanti della nozione di laico e il modello alternativo che situa tale nozione in un ben preciso contesto storico-ecclesiale. Nella prima direzione ci sarebbe un’oscillazione tra la visione comunitaria dei primi secoli e quella gerarcologica in epoca medievale, fino a un lento ricupero della dimensione comunitaria nell’epoca moderna e contemporanea: in quest’ottica si dovrebbe superare la nozione di laicato per farla convergere in una chiesa comunionale tutta ministeriale. Nella seconda direzione la categoria di laico è indagata più nel suo sviluppo socio-religioso, che non consente di ricostruire un percorso troppo facilmente evolutivo, ma che colloca le diverse configurazioni della nozione nel rapporto tra chiesa e società e le rispettive articolazioni. La conclusione del primo capitolo è semplice e articolata nello stesso tempo: se per un verso il laico è sempre esistito, per l’altro cambia la sua intelligenza teologica in rapporto all’auto­com­pren­sione della Chiesa e del suo destino nella storia.

Il terzo capitolo – al centro della disputatio – rappresenta una sorta di pausa nella serrata ricostruzione storica della “teologia del laicato”. Dopo il rendiconto critico della poderosa opera di Congar (cap. II), il modello congariano della “teologia del laicato” trova, secondo Vergottini, in alcune personalità (G.B. Montini – J. Guitton) una “rilettura interessata” del dispositivo teorico disponibile. Entrambi per ragioni diverse, Montini per il suo vissuto di pastore nell’episcopato ambrosiano e Guitton per le sue frequentazioni di Newman, riaprono la partita sul senso dell’apostolato dei laici, di là dal codice teorico che Congar aveva predisposto. Si tratta di due figure che promuovono lo “spazio del laico” oltre la sua univoca codificazione ecclesiologica. Essi aprono a comprensioni nuove in vista di una prassi più dinamica nel vertiginoso cambiamento storico-civile sulla soglia del concilio. Si leggerà con vero diletto questo capitolo che rompe la compatta architettura teologica della disputatio, mostrando come la teologia del laicato non può stare senza considerare la mutazione storica della presenza civile del laico.

Il quinto capitolo, infine, si concentra sull’episodio più rilevante del post-concilio, che porta alla riapertura del dossier sui laici intorno al Sinodo dell’87 (Christifideles Laici). Se il tema era per così dire entrato in sonno nel primo ventennio dopo il Concilio, proprio quando i laici erano diventati protagonisti sulla scena, riemerge in occasione del Sinodo a loro dedicato. La disputatio entra qui nel vivo del conflitto delle interpretazioni, in cui si delinea un ventaglio di ben quattro posizioni: a) la “secolarità” come indole peculiare dei laici; b) la “teologia dei ministeri” nel quadro del binomio comunità-ministeri; c) la “laicità” come dimensione caratteristica di tutto il popolo di Dio; d) il superamento della figura del “laico” in quella del “cristiano”. Se la prima e la seconda valenza indicano la secolarità e/o la ministerialità del laico come il tratto “specifico” della sua figura (Lazzati, l’ultimo Congar), la terza e la quarta cercano di superare la quaestio dello “specifico” laicale in una ecclesiologia dinamica (Forte, Dianich) o nella sua fondamentale “testimonianza cristiana” (scuola di Milano). La rassegna termina con le successive riprese critiche di Canobbio. Come si può notare questo episodio, prevalentemente italiano, è stato il momento più alto del post-concilio nella discussione ecclesiologica, anche se forse ha avuto meno attenzione al rapporto tra Chiesa e società.

I capitoli pari del racconto (II, IV) sono una disamina acuta della “teologia del laicato” nel maggiore dei suoi rappresentanti e nel momento epocale del Vaticano II. Qui l’autore si mostra abile a non fare solo un’opera di compilazione, ma a esercitare la sua maestria teologica proponendo una vera decostruzione del lavoro pionieristico di Congar e una ricostruzione della teologia conciliare senza la pretesa di appiattirla in una visione omogenea.

Il secondo capitolo è la ripresa dei Jalons di Congar, apparsi nel 1953, con la duplice prospettiva della collocazione contestuale e della distanza storica. Se l’impresa di Congar propone i segnavia di una “teologia del laicato”, quale storica risposta al bisogno di protagonismo del laicato dopo il secondo conflitto mondiale, la decostruzione di Vergottini si smarca rispetto alla linea interpretativa corrente, da un lato, mostrando il contesto di subordinazione del laicato come il terreno di coltura della teologia del laicato di Congar e, dall’altro, indicando nella “teologia del laicato” il grimaldello per uscire da una ecclesiologia gerarcologica e per introdurre la chiesa e i laici in una prospettiva comunionale e missionaria. Anche se poi, in questa direzione, il teologo domenicano si esponeva a cercare lo “specifico” dell’identità e della missione dei laici in una prospettiva ancora essenzialista, assumendo le categorie di mondo, cosmo, storia, realtà terrestre, ordine profano, dentro lo schema concettuale dualista. Resta indeciso, come afferma giustamente l’autore, se «le suddette categorie si limitino a designare il mondo come realtà fisica e naturale, oppure chiamino in causa di necessità la dimensione antropologico-culturale e storico sociale» della categoria di mondo.

Il quarto capitolo sul “Vaticano II e i laici” rappresenta per così dire il perno di tutta la disputatio per il fatto che è la prima volta che un concilio dedica un capitolo intero ai laici. All’entusia­smo retorico che definiva il Vaticano II il “Concilio dei laici”, la ricostruzione critica domanda se l’evento sinodale sia «riuscito a pervenire a una proposta teologicamente persuasiva» (p. 160). La portata dell’evento conciliare sul tema del laico si colloca all’incrocio di due movimenti: quello del ressourcement e quello dell’aggiornamento, rispettivamente come esercizio di memoria e come anticipazione profetica, che situano la questione del laico tra un incedere a ritroso e un procedere in avanti. Il grande conflitto delle interpretazioni sull’inter­pretazione teologica del Vaticano II, riacceso nell’ultimo decennio dall’intervento di Benedetto XVI del 2005, trova qui il suo banco di prova principale. L’esito della ricerca evita di comporre le diverse tessere del mosaico del Vaticano II sui laici con una “sintesi dell’eterogeneo” a buon prezzo, e segnala l’obiettiva polarità che contrassegna il magistero conciliare: il primo polo colloca il laico nell’unità della missione del popolo di Dio, fondata sul battesimo e la cresima che lo incorporano a Cristo (descrizione cristologico-ecclesiologica); il secondo polo specifica il compito particolare e positivo dei laici nella loro “indole secolare” (definizione tipologica). Il magistero conciliare resta in difficoltà ad articolare i due piani che colleghino il principio unificante dei laici in seno al popolo di Dio (christifideles) e il principio distintivo della loro “missione secolare”. I due registri obbediscono a due istanze diverse, l’una dell’unità di missione e l’altra della differenza di azione, che lascia aperto alla teologia seguente il compito di pensarne la concettualità coerente e conseguente. Ciò non può essere accreditato al Vaticano II, ma va lasciato come un’eredità ancora da pensare e da attuare.

Determinatio. Se la quaestio disputata medievale aveva nella determinatio del magister il suo momento peculiare, mediante l’uso della ratio dialettica, che si faceva strada tra la disparità delle auctoritates, la quaestio contemporanea svetta nella “ripresa critica” della disputatio, che si fa largo nel lungo percorso ermeneutico degli episodi emblematici del dibattito del Novecento. Non bisogna quindi lasciarsi fuorviare dalla relativa brevità dell’epilogo (pp. 279-298), perché la sua forza non proviene dall’ampiezza della “risoluzione” della quaestio de laicis, ma dalla persuasività della sua proposta teoretica. Il “prendere congedo” dalla “teologia del laicato” non comporta l’azzeramento della «figura teologica dei fedeli laici», ma «la ricomprensione in una prospettiva più originaria della loro identità cristiana e della condizione in cui versano» (p. 279). La soluzione si profila non abbandonando semplicemente la questione laicale, ma collocandosi oltre la definizione della sua specificità o in termini essenzialistici o in termini funzionali. Si tratta, in altre parole, nella concettualizzazione del significato del laico, di articolare il principio unificante e il principio distintivo mediante una sintesi superiore, che Vergottini identifica nella struttura della “testimonianza”. Sta qui la determinatio più interessante della proposta di questo lavoro. Richiamati e superati due tentativi di successo nella determinazione distintiva del laico (apostolato ed engagement), l’autore delinea la determinatio nella categoria di “testimonianza”, nella sua triplice falda teologico-fondamentale, cristologico-ecclesiologica e teologico-pratica.

In quanto categoria riferita alla teologia della rivelazione e della fede, la testimonianza indica che il darsi della rivelazione nella coscienza credente ha la forma della testimonianza (storica) ad altri di un Altro, nella quale il testimone è co-implicato nell’atto della testimonianza con una duplice sporgenza: verso la realtà attestata e verso il destinatario. Di modo che anche il destinatario entra nel racconto del testimone con un’operazione ermeneutica (teorico-pratica: ultimamente salvifica) per passare di continuo dall’attestazione alla realtà attestata, cioè alla rivelazione testimoniata. Scrittura-Tradizione-Chiesa sono il luogo di accesso alla rivelazione in Cristo, nella quale la coscienza credente si configura in modo cristiano.

In quanto categoria cristologico-ecclesiologica, la configurazione a Cristo, mediante i sacramenti dell’iniziazione, qualifica l’esperienza credente di tutti i membri del popolo di Dio, che attuano perciò la struttura della testimonianza mediante l’annuncio promettente della vita donata da Dio: dire e donare Cristo all’umanità e al mondo e far accedere gli uomini e la storia a Cristo. La testimonianza si colloca così in tale duplice movimento di attestazione e di contemporaneità: in quest’ottica il principio “unificante” del christifideles (laico) va collocato nella missione della Chiesa.

In quanto categoria teologico-pratica, la determinatio a cui Vergottini perviene, innesta il principio “distintivo” del concetto di laico nella struttura unificante della testimonianza, mediante la coppia terminologica di rappresentazione/i–rappresentanza. Il primo termine dice che l’og­get­tività dell’evento testimoniato si realizza storicamente nella necessità e pluralità di “rappresentazione/i”; il secondo dice che la necessaria pluralità di raffigurazioni e interpretazioni cristiane (teorico-pratiche) attuano tutte con tonalità diverse l’unica figura credente. Unicità della figura credente e plurale complementarità delle raffigurazioni cristiane realizzano la duplice dinamica di rappresentazione/i e rappresentanza del cristiano. Memoria “cristica” e testimonianza “spirituale” si collocano nella dialettica tra singolarità e universalità dell’evento cristologico, che è opera dello Spirito sul versante cristologico ed è conformazione spirituale a Cristo sul versante antropologico. La pagina decisiva del testo (p. 296) declina l’abbozzo di una “teologia della testimonianza credente nella storia” che prende congedo da una teologia del laicato.

Il sed contra – che in ogni determinatio è il momento di verifica della tesi proposta – può essere indicato nel modo seguente: la “definizione tipologica” del laico, indicata nella sua “indole secolare”, mostra sia nella rappresentanza sia nella rappresentazione/i la necessità e insieme la referenza del rapporto al mondo (suo carattere secolare) e del riferimento di questo a Cristo (da ordinare secondo Dio). Ciò però non va inteso come una definizione essenziale né un compito funzionale del laico, ma come la modalità “spirituale” con cui Cristo è donato al mondo e il mondo entra in comunione con Cristo, in una pluralità di figure cristiane, di cui la categoria di laico ha finora difeso lo spazio, ma non ne ha esaltata la missione. Infatti, tale definizione sospingeva il laico in un luogo separato dalle altre figure cristiane, senza mostrare che anche le altre figure (ministeri ordinati e religiosi, ma non solo queste) erano connotate dalla stessa dinamica della testimonianza. Liberata da questa comprensione, la figura del laico si potrà attuare in una pluralità infinita di figure, così ricche per il contributo dell’immersione del credente nella storia del mondo, ma anche così diverse per la genialità dello Spirito nel ricondurre questa storia a Cristo. Di tale ricchezza e diversità la definizione tipologica è riuscita sino ad oggi a indicare soltanto alcune pallide immagini. Con grave danno per lo “spazio del laico” nella Chiesa e nel mondo!

L’Editio. Il compito della Editio era anch’esso uno degli elementi qualificanti della competenza del magister medievale. Se si legge una quaestio disputata tommasiana si resta ammirati del puntuale lavoro di edizione del testo. Questo rimane uno stimolo perché la ricerca costituisca il trampolino di lancio di nuovi indagini future, attualizzando i molti studi che l’autore ha già dedicato al tema nella sua non breve biografia accademica.

Mi domando se la riflessione sul laico può ereditare la “teologia del laicato”, mettendo al centro la questione del “cristiano testimone”. Formulo la domanda così: una volta ricondotta la questione del laico alla comune condizione di ogni credente all’interno della nozione di testimonianza (sotto il profilo fondamentale, cristologico ed ecclesiologico), non appare necessario abbozzare il profilo del cristiano sotto l’angolo visuale teologico-pratico? In particolare, mi sembrerebbe utile svolgere i seguenti cinque aspetti: l’aspetto sacramentale della testimonianza, con il quale ogni credente attesta e raffigura l’incorpo­razione a Cristo mediante l’ascolto della Parola e la ricezione del sacramento (la necessità di una pratica cristiana personale che sostenga la soggettività autonoma del credente); l’aspetto morale della testimonianza, con il quale l’attestazione storica prende figura nel cimento della carità (si pensi all’animazione comunitaria, al volontariato, all’impegno civile); l’aspetto spirituale della testimonianza, con il quale il vissuto credente si colora delle molte condizioni reali di vita (più ricche di quanto possa dire l’astratta categoria di secolarità: basti pensare alla famiglia e al servizio missionario); l’aspetto critico della testimonianza, quando il credente rende conto della sua fede nella difesa dell’identità cristiana di fronte al mondo; l’aspetto dialogale della testimonianza, con cui il credente cristiano è convocato a dire il vangelo nella cultura e nella società e viceversa (questi ultimi due aspetti riguardano il compito culturale e politico del cristiano). Ho tentato di sviluppare più diffusamente questo percorso nel terzo capitolo del mio Liber pastoralis, Queriniana, Brescia 2017. Qui formulo soltanto un invito che supera l’obiettivo della presente ricerca. Auspico una successiva ripresa da parte dell’autore del discorso sulla cura della figura testimoniale dei credenti e della Chiesa.

Solo il cimento pratico del cristiano nella storia e la configurazione a Cristo delle vicende umane nella vita di ogni battezzato, sono il luogo di uno scambio simbolico che è la carne viva della testimonianza del cristiano. Tutto il resto della vita della Chiesa è a servizio di tale “meraviglioso scambio”, che brilla nella Chiesa come testimonianza e nella testimonianza del cristiano. Del cristiano e basta!

+Franco Giulio Brambilla

Vescovo di Novara