Lectio dei giovani della città nella nostra parrocchia

Si è tenuta giovedì sera alle 21 la lectio dei giovani della città di Novara nella chiesa di Santa Rita. A predicarla   è stato chiamato don Tommaso Groppotti, docente nel nostro seminario e sacerdote in aiuto alla parrocchia di Trecate. Numerosi i ragazzi presenti con i loro sacerdoti. Dopo il saluto del parroco,  padre Marco, la proclamazione dei brani evangelici in cui Maria è protagonista, le Nozze di Cana e lo Stabat Mater. Prima della lectio di don Groppetti, la drammatizzazione a cura di alcuni ragazzi presenti. Don Tommaso ha successivamente proprosto ai giovani il commento  ai due dialoghi tra la Madre e il Figlio, quello a Cana e quello sulla croce. E’ seguito il momento di adorazione eucaristica, durante il quale è stato offerto ai presenti anche lo spazio per le confessioni. Il coro, messo in piedi per l’occasione e all’altezza per la copacità di tradurre in musiaca la preghiera, ha accompagnati i momenti. Al termine un fraterno rinfresco è stato offerto ai presenti dal gruppo festeggiamenti della nostra parrocchia.

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Ecco alcuni appunti della lectio fatta da don Tommaso Groppetti:

Cana

Sesto giorno, creazione uomo e donna. Frase enigmatica: ‘Che c’è fra me e te, o donna? È giunta la mia ora?’… problema della punteggiatura che non c’è nei codici, va ripresa dalla sintassi… Domanda che dice esserci un’ipotesi… l’ora in Gv è la sua ora della morte e risurrezione, quando compirà la sua opera fino in fondo. Che c’è fra me e te: modo d’uso aramaico, rimanda a passaggi della scrittura… dice rottura di un rapporto, ‘che c’è fra me e te!’, frase dura… Rapporto che può finire! Ma allora cosa c’è fra loro due, Gv lo sottende ed evoca mentre Lc lo narra… all’inizio, Dio si è fatto uomo per sua iniziativa in Maria… cosa c’è fra lor due? Maria genera colui che era da sempre: c’è entrare nel tempo e mistero che solo Maria conosce… che c’è? Rapporto Madre e figlio: se tale rapporto è in crisi cosa vuol dire, allora giunge la sua ora… Dunque il compimento dell’ora cambia il rapporto! Se Gesù si prende cura degli uomini, da Cana fino ad assumere  tutto il peccato (ecco l’Agnello di Dio!): Maria chiede a Gesù di intervenire, ma questo intervento sarà radicale e quindi cambia in Maria.., ecco al parola di Gesù a Maria: quello che c’è fra me e te, non sarà più fra noi due… se mi devo occupare degli uomini, io gli darò la mia vita e donandola donerò anche questo rapporto fra te e me… quello che c’è fra me e te, sarà fra te e gli uomini.

Stabat Mater

Sotto la croce appare un processione di persone, simile e diversa da Cana: a Cana c’è Maria e quindi invitato Gesù, qui c’è la Madre e accanto discepolo che ha preso il posto di Gesù. Giorno precedente lo Shabbat di Pasqua: quindi ancora sesto giorno, creazione uomo e donna come Cana, ivi appare la madre. Maria ai piedi di Gesù riceve quanto ha chiesto a Cana, la salvezza per gli uomini: ‘donna ecco tuo figlio’, ‘ecco tua madre’… crea relazione di maternità/figliolanza, proprio quello che era stato rotto a Cana. Rapporto Gesù-Maria cambia perché il discepolo subentra a Gesù, la prende fra le sue cose, come sua… Maria diventa del discepolo e il discepolo diventa della Madre: appaiono relazioni fra di noi! La croce di Gesù ci mette in relazione al Padre e ci intreccia fra di noi, come fratelli, sorelle… ma Maria ha ruolo preciso: è la Madre di Gesù e le viene detto ecco tuo Figlio. Non è possibile vivere nella logica di Gesù senza imbatterci felicemente nella Madre  e accoglierla come colei che ha ruolo verso di noi. Il ruolo appariva a Cana: fate quello che vi dirà, mostra la via migliore… Coinvolgimento di Gesù con noi: gli è stato tolto tutto, una cosa gli è rimasta, la Madre… anche questa lui dona! Maria è dono di Cristo per tutti noi, del Padre, va accolta come dolce madre donata da lui… ruolo: Insegnarci dove è il problema E mostrare via d’uscita La madre di Gesù non discute, il suo verbo è fare. Vivere attuando, in perfetta obbedienza e donazione. Non hanno paura le madri Non paura del pericolo Non paura del rischio e del sacrificio. Esse fanno, costruiscono in silenzio, giorno per giorno, il grande miracolo dell’amore. E sul loro esempio deve modellarsi tutta la vita dei figli (D.M. Turoldo)

Per meditare, e dare sfondo (da Marco Pozza, una maternità scomoda II)

Verso il Calvario

Sono passati ventuno anni dall’ultimo dolore, quello d’averlo perso dentro il trambusto di Gerusalemme. Di ventuno, diciotto sono trascorsi nella calma e nella pace della casa di Nazareth. Impossibile, anche solo immaginare, cosa sia significato essere la madre di Dio, avendolo per padre: ricevere da Lui, per anni diciotto, la sottomissione e l’ubbidienza e, nel contempo, impazzire d’amore per Lui. Lei, grazie a lui, è diventata madre, quando lui è diventato figlio, è legge di natura: nel momento in cui nasce un bambino, nasce la madre. Non esisteva prima. Esisteva la donna, la madre no. Una madre è qualcosa di assolutamente nuovo. Trascorsi diciotto anni, si separò da lei: «Prese un mantello, allacciò i suoi sandali, e disse a sua madre una parola d’addio che non sarà mai conosciuta» (F. Mauriac, Vita di Cristo). A trent’anni il Padre gli aveva dato delle commissioni da svolgere. Quei tre anni passarono rapidi: Maria, in disparte, vi assistette. Fino al giorno in cui Pilato si lavò le mani e mandò al massacro il suo Cristo: era il suo bambino, era il suo Dio. E Maria, dov’era?
Stava lì, tra la folla, a invocare la pietà per quell’uomo innocente. Da tre giorni piangeva, lo seguiva, errava. Seguiva quello che per lei era il funerale di un vivo, faceva parte del corteo. Era come se fosse un’accompagnatrice, una frequentatrice, una poveretta, una mendicante. Non aveva mai chiesto nulla in vita sua, adesso chiedeva la carità per suo figlio. Non sentiva neanche più i suoi piedi che la portavano, più nemmeno le gambe che la sostenevano. Anche lei era salita fino a lassù, fino sopra il Golgota. Le facevano compagnia, quasi scortandola, tre-quattro donne, le pie-donne: un piccolo corteo, dietro il grande corteo. La cosa strana è che tutti le portavano rispetto: la gente rispetta molto i genitori dei dannati. La chiamavano la povera donna, intanto picchiavano forte suo figlio. Gli uomini sono come sono, mai li si potrà cambiare: «Lei non sapeva che al contrario lui era venuto a cambiare l’uomo» (Ch. Péguy). Seguiva, piangeva: non c’era nessuno che l’offendesse. Immagino che più di qualcuno, vedendola, si sia accorto: “Guardala: è invecchiata di dieci anni”. In tre giorni era invecchiata di dieci anni. Non capiva più nulla: capiva solo che il governo era tutto unito contro il suo Gesù, e che avrebbero avuto la sua pelle.
Lei, però, non la deridevano, la gente non la guardava nemmeno, forse per rispettarla meglio. Anche lei era salita, fino in cima, anche lei aveva fatto la sua via-crucis. Sono quattordici stazioni, le aveva fatte tutte, anche se forse non se n’era nemmeno accorta: in certi momenti, anche la testa di una mamma va in confusione. Noi, che non le abbiamo mai percorse, le sappiamo invece tutte a memoria. In tre giorni Maria era diventata spaventosa da vedere: ci si sarebbe burlati di lei, se non fosse stata la madre del condannato. Le guance devastate, scavate, segnate: le lacrime avevano solcato le guance. Gli occhi le ardevano, quasi bruciavano: non si ricordava di aver mai pianto così tanto in vita sua. Piangere le rendeva sollievo. Erano lacrime, memoria: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perchè siano svelati i pensieri di molti cuori». Parole di trent’anni fa, dolore di oggi: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,33-35)
Il Figlio, intanto, sulla Croce ribolliva di strazio. Pur febbricitante, s’accorse tra la folla di quel cuore: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala – annota l’evangelista -. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!” E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa» (Gv 19,25-27) La mamma tiene il bambino per mano solo per un breve tempo, ma il suo cuore l’accompagna per tutta la vita. E’ per questo che a nessuna madre dovrebbe toccare di vivere più a lungo del figlio, capitare di accompagnare un figlio al cimitero. A Maria è capitato: s’accorse, salendo, che il figlio non era più suo, era di tutti eccetto che di lei. Nessuno lo adorava, tutti imprecavano contro. Lei, però, non invocava nessuna vendetta dal Cielo, perchè sulle anime di quegli uomini doveva andare l’amore: «Il diventare Madre degli uomini le sarebbe costato il suo Divin Figlio, ma era disposta a pagare un tale prezzo» (F. Sheen).
Quando, straziato, il Figlio morì, Maria, straziata, resistette sotto la Croce. Non tutte le mamme soffrono alla stessa maniera: più delicato è il cuore, più acuto sarà il soffrire. Morì il Figlio ma non la Madre: «Se tu mi hai dato la vita – ha scritto in un suo pensierino Luca, 6 anni, per il compleanno della mamma -, vuol dire che per un giorno sei stata Dio». Capite, donne? La mamma – da quella di Dio fino alla mia – fa sempre tutto il possibile, anche l’impossibile certe volte tentano: spesso, però, dimenticano di stupirsi per quanto tutto questo significhi. Dopo morto, gliel’hanno ridato in braccio: i due amici del crepuscolo – Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea – appoggiarono una scala alla croce, come si appoggia la scala ad un fico per prendersi i dolci frutti, vi salirono e staccarono quel corpo. Poi lo rimisero in mano alla mamma: finalmente! Cristo, stava nelle ginocchia di Myriam come una rosa appassita. Era come se il Figliol prodigo fosse tornato a Nazareth, fosse ritornato nella grotta: depostolo dalla Croce, lo deposero tra le braccia di sua Madre, come poco più di trent’anni prima. Poi – anche se non era ancora sazia di guardarselo – accettò il regalo dei due amici: lo consegnò perchè fosse sepolto.