Un seme generatore di amore, di vita e di speranza incalcolabile. Omelia per la 15ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
il linguaggio delle parabole eccede sempre nei segni e nei significati con i quali si designano le singole realtà rappresentate. Non fa eccezione la parabola odierna del Buon Seminatore, conosciutissima, che ci viene spiegata dal Signore stesso. Mi permetto di entrarvi, osservandola da tre prospettive: l’azione del Seminatore, la radiografia del cuore dell’uomo e il dono del discernimento e della perseveranza.
1.     L’azione del Seminatore: Amore generatore di Vita e di Speranza
Ciò che stupisce, a prima vista, il lettore odierno è il modo di seminare di questo agricoltore che getta in misura sovrabbondante e in tutte le direzioni la semente, perché porti frutto. Vi sono tre aspetti precisi del gesto che vanno osservati.
Il primo è costituito dalla modalità della seminagione. È sconcertante, a prima vista, questo modo di fare. Infatti, ci si domanda, anzitutto, perché il seminatore sia così disinvolto nel gettare a destra e a manca il seme, quasi non badando allo spreco che ne deriverà per quella parte che sicuramente andrà perduta. Se i biblisti ci aiutano a comprendere che in Palestina si iniziava con la semina e, solo dopo, si arava, era inevitabile che parte del seme finisse su un terreno non buono, eppure, ci rimane ancora lo stupore per questa abbondanza di semente. Immaginiamola e figuriamocela: il contadino immerge la mano nel sacco e raccoglie con abbondanza il seme e lo sparge. È un’immagine e un atteggiamento veramente carico di speranza.
Questa è la seconda sottolineatura, l’abbondanza, che colpisce e che spiega, al di fuori del linguaggio della parabola, quale sia il comportamento di Dio nei confronti del Figlio Suo, il Seme, cioè la Parola-fatta-carne, ma anche la Parola-fatta-pane eucaristico, per la vita dell’intero universo.
Infine, il terzo rilievo che spiega i primi due comportamenti dell’agricoltore: l’Amore incondizionato di Dio, che vive in se stesso e nei confronti dell’intero creato.
Dio, dunque, – emerge dalla parabola – vive d’amore e vivendo così si dona senza riserve, arrivando ad offrire senza ricatto alcuno la persona che la più cara per un Padre, il proprio Figlio che, a sua volta, amando il Padre in maniera incondizionata si dona all’intero creato, senza trattenere nulla, ma proprio nulla di Se stesso. Scriverà l’apostolo Paolo di Cristo nel celebre inno contenuto nella lettera ai Filippesi, che, Cristo Gesù, il Messia, il Salvatore, il Dio-con-noi, «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 5,6-8). Questo è il significato dell’abbonda della Semina. È amore vero questo, carico di vita e di speranza. Dio, amando in se stesso, genera vita e, generando vita, è Trinità d’amore; il Dio amante genera ab eternitate il Figlio amato e, dall’amore eterno tra il Padre e il Figlio procede lo Spirito Santo, l’Amore fatto persona. Dio crea l’universo, lo abita e lo rende fecondo; nonostante il peccato dell’uomo, Dio non rinuncia, ma ricrea l’intero universo, mediante la morte redentrice del Figlio e con il dono dello Spirito del Risorto riempie l’intero creato di speranza vita. Chi non si stupirebbe di fronte a questo miracolo? Chi oserebbe ritrarsi di fronte a questa “semente abbondante”, così carica di amore, di vita e di speranza, che forse da noi è giudicata sprecata, per la grettezza che ci appartiene? Chi non coglierebbe la potenza formidabile e deflagrante ivi racchiusa, capace di trasformare anche il più duro dei cuori per l’ebbrezza della potenza dell’amore? Chi, dopo tutto questa dimostrazione d’amore, potrebbe ancora dubitare del dono che Dio stesso fa di Se stesso?
2.     La radiografia del cuore: la varietà delle situazioni concrete della vita e delle sue stagioni
Veniamo allora al nostro cuore che, descritto dalla parabola come terreno è destinato ad accogliere il Seme, ma presenta almeno quattro situazioni che possono essere di accoglienza (una sola, il terreno buono) o di ostacolo alla maturazione della semente (la strada, il tereno sassoso e quello in cui crescono i rovi).
Occorre ricordare, prima di tutto, che questi stati del cuore non sono condizioni stabili, ma variano non solo a seconda delle stagioni della vita dell’uomo ma anche secondo i tempi e gli accadimenti che caratterizzano l’esistenza umana. Dunque, non sono irrimediabili, ma prevedono sempre la possibilità di essere mutati in meglio. È ciò che chiamiamo “Conversione”, inversione radicale a “U” della nostra vita, un processo di cambiamento che dura tutta l’esistenza che ci è data.
Delle quattro condizioni indicate dalla parabola, tralasciando quella del terreno buono (vv.8-9) che è ovvia di per se stessa, la più nefasta è quella costituita dall’impermeabilità, figurata nello specifico dalla strada (v.4): il seme che vi cade diventa preda degli uccelli che lo mangiano (v.4). Così avviene in noi, quando non ascoltiamo ma sentiamo solo superficialmente la Parola: essa ci rimbalza addosso, ci scivola via, al punto tale da diventare preda di altri, gli uccelli, che non la sprecano ma se ne nutrono. Quasi a dire, che nulla di quanto esce da Dio, viene sprecato!
Poi vi sono altri due situazioni intermedie. La prima, dice Gesù, è costituita dal terreno sassoso. Proviamo a immaginarlo: un terreno sassoso è un terreno «dove non c’è molta terra» (v. 5), per cui il seme germoglia, ma non riesce a mettere radici profonde. Così è il cuore superficiale, che accoglie il Signore, vuole pregare, amare e testimoniare, ma non persevera, si stanca e non “decolla” mai. È un cuore senza spessore, dove i sassi della pigrizia prevalgono sulla terra buona, dove l’amore è incostante e passeggero. C’è, infine, l’ultimo terreno, quello spinoso, pieno di rovi che soffocano le piante buone, sono «la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza» (v. 22), così dice Gesù, esplicitamente. I rovi sono i vizi che fanno a pugni con Dio, che ne soffocano la presenza. Ciascuno può riconoscere i suoi piccoli o grandi rovi, i vizi che abitano nel suo cuore, quegli arbusti più o meno radicati che non piacciono a Dio e impediscono di avere il cuore pulito. Occorre strapparli via, altrimenti la Parola non porterà frutto, il seme non si svilupperà.
3.     Il dono del discernimento e della perseveranza
Come far diventare terreno buono quello che tale non è? Compiendo una sorta di radiografia spirituale su di noi e, poi, agendo con perseveranza nello sradicamento di ciò che si frappone fra noi e la Parola. Per fare questo, occorre chiedere l’aiuto al nostro Maestro interiore, lo Spirito Santo, che «insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio» (Rm 8,16). Non solo. Questo Spirito dice che «se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (Rm 8,17).
Dunque, occorrono tanta preghiera, tanta perseveranza, tanto a tu-per-tu col Signore. Non bisogna inventarsi chissà che cosa. Occorre fermarsi, invocare lo Spirito e rimanere in ascolto di Dio e di se stessi. Certamente verranno nuvole di pensieri e di voci, le più disparate, ma prima o poi la smetteranno di infastidirci e, lasciatici tranquilli, otterremo di poter ascoltare la voce dello Spirito, che si leva nitida e chiara. Le prime volte non sarà facile, ma perseverando, otterremo, secondo quanto il Signore dice: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (Mt 7,7-8). Certamente, non otterrà nulla, chi si stufa subito. Le grandi risposte, senza un minimo di pazienza e di sacrificio, non si ottengono. Come scrive l’apostolo Paolo nella seconda lettura: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,22-24).
In questi mesi di confinamento dovremmo (almeno si spera) averlo un po’ compreso. Ci hanno fermato e ci siamo fermati; ci hanno imposto uno stop forzato e ne abbiamo compreso poco alla volta il beneficio per la nostra salute fisica. Dunque, perché non farne tesoro anche per la nostra salvezza? Perché non vivere in pienezza il tempo che ci è dato per non ricadere nei vicoli ciechi della fretta e del mordi e fuggi? Perché non vivere in pienezza la vita con i suoi grandi desideri?
Concludo
Il messaggio che Gesù vuole dare con questa parabola è chiaro: quello di un risultato grande, che supera ogni attesa. Perché quando interviene il Dio che Gesù ci ha rivelato, nulla è scontato ma soprattutto nulla è dato in misura minima e gretta, ma in forma sovrabbondante. È questa una parabola di grande speranza e di grande attesa, che cerca non solo di consolarci, cercando di far capire che là dove c’è la Sua Parola il messaggio arriva (quindi attesa e pazienza), ma anche che l’effetto c’è, è garantito perché la Parola trasforma, come aveva già profetato Isaia, che abbiamo ascoltato nella prima lettura: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata». (55,10 e ss)
Buona domenica!
Padre Marco