«Educare è come seminare»: un invito per iniziare insieme un nuovo anno pastorale

Lettera alla comunità per l’inizio dell’anno pastorale 2019/2020

«Educare è come seminare»

La conversione alla vita buona del Vangelo

Cari Amici,

«Educare è come seminare: il frutto non è garantito e immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto». Sono parole del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano (1927-2012), sulle quali ho meditato lungamente e che vorrei facessero da apertura al nuovo anno pastorale per meglio predisporci ad accogliere le indicazioni pastorali che il nostro vescovo Franco Giulio ci donerà prossimamente nella sua nuova lettera, intitolata Il laccio del sandalo. Con l’immagine della semina per descrivere l’azione educativa, il cardinale Martini sottintende ed evidenzia anche gli elementi che l’accompagnano: la passione e la voglia, l’attesa e la speranza, senza mai cedere a quell’inerzia mortifera che ci attanaglia continuamente.

Da queste semplici parole, mi sono posto quattro domande: che cosa significa educare per un cristiano? chi devo educare come cristiano? come devo educare come cristiano? c’è un modello di credente a cui posso fare riferimento?

A queste domande ho provato a rispondere così.

  1. Che cosa significa educare per un cristiano

 L’enciclopedia Treccani ci restituisce il significato fondamentale di questo verbo: educare deriva dal latino educere col significato di «trarre fuori, allevare»; esso viene precisato nel soggetto dell’educazione: «la persona» ossia l’uomo e la donna in relazione con ciò che li circonda; le attitudini della persona: «le facoltà intellettuali ed estetiche e  le qualità morali»; i mezzi con quali farlo: «l’insegnamento e l’esempio»; i fini: «il bene, la virtù, il vivere civile, il timore di Dio».

A me, come vostro parroco, è richiesto di delimitare questo vasto, complesso e composito processo di educazione, entro precisi confini: la persona nella sua integrità (il soggetto), le sue qualità (le attitudini), l’insegnamento con l’esempio di vita (i mezzi), Gesù Cristo, il Crocifisso-Risorto(il fine primo, unico ed ultimo). Questa è la sfida educativa cristiana che non è di un giorno, ma dura tutta la vita, poiché ogni età ha le sue tappe e i suoi passaggi con gli inevitabili gap, che continuamente si frappongono e che sono riconducibili fondamentalmente al peccato.

Sono diversi i passi della Sacra Scrittura, a cui ci si può riferire e che ci raccontano la sfida educativa, ma ne ho scelto uno solo, tratto dal vangelo secondo Luca, che ci ha guidato quest’anno in una delle liturgie domenicali:

«Poi [Gesù risorto] disse: “Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: “Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,44-48).

Dunque, da questo brano evangelico, in estrema sintesi, si desume che educare per un credente che sia anche credibile consiste fondamentalmente nel vivere la vita buona del Vangelo, nel vivere il mistero della Pasqua di Gesù nella propria vita, nel vivere in prima persona questa dimensione di conversione e riconciliazione con Dio e con i fratelli.

Chi sono, allora, i destinatari di questa azione?

  1. Chi devo educare come cristiano.

Chi deve essere evangelizzatocioè educato, è, anzitutto, ciascuno di noi, verificando continuamente, se ci sia in noi qualcosa che osta o che si sottrae a quest’annuncio di liberazione del Signore Risorto (Is 61 in Lc 4, 18-21).

Vorrei sottolineare come l’opera di colui che è definito nella Scrittura come Satan, ossia colui che ci accusa di fronte a Dio (Ap 12,10), o Diavolo, ossia colui che ci disgrega nel nostro intimo (Lc 8,12), è sempre costante ed è volta ad accanirsi contro i figli di Dio non solo in modo distruttivo, ma anche autodistruttivo.

Tutta la storia della salvezza, da Adamo a Cristo, è continuamente segnata anche dalle opere del Serpente antico (Ap 20,2).

Pensate alle forme gravi che ledono l’armonia delle persone e dell’intero creato. Per citarne solo  alcune: l’aborto, l’eugenetica, la disgregazione della famiglia, l’eutanasia, le ineguaglianze sociali, la mancanza di lavoro, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse del nostro pianeta, l’inquinamento, la mancanza di buona educazione (in questo – permettete – siamo giunti ad una soglia nella quale non solo i figli ma anche genitori e, persino, i nonni mancano gravemente dei “fondamentali”), la diffusa volgarità, l’assenza non solo di pudore ma anche di vergogna, la richiesta di diritti non necessari ma pretesi ad ogni costo e con ogni mezzo (tutto è dovuto!), le nuove forme di bullismo, di persecuzione mediatica, gli slogan gridati e quant’altro. Azioni tutte che si portano dietro storie di devastazione nelle persone nella casa comune, storie di akedìa (ossia l’avversione all’operare, mista a noia e indifferenza, nel perseguire i beni spirituali) fino ad arrivare a gesti estremi di violenza contro se stessi o contro gli altri. Quanti fatti di cronaca solo in questi otto mesi del 2019 ci avvertono e, per di più, non lontano da noi!

Come reagire, dunque?

  1. Come devo educare come cristiano

Richiamo alla vostra attenzione cinque atteggiamenti da mettere in pratica contro questo spirito di accanimento che chiamerei, per quanto sopra detto, diabolico (cfr. D. Fares s.j., Contro lo Spirito di “accanimento”in La Civiltà Cattolica, 4029 [5/19 maggio 2018], pp. 216-230)

Il primo atteggiamento che ci è richiesto lo definirei di paternità/maternità spirituale cristiana.

Se il rischio più grave di fronte all’accanimento del male è quello di cadere nel vittimismo, esagerando le preoccupazioni, allora la paternità o la maternità cristiana insegna il discernimento, in modo che ciascuno impari a difendersi con l’aiuto di persone sapienti. Infatti, la cosa peggiore che possa succedere in ogni figlio di Dio è vedere che la ferocia si scatena su di lui che è più debole, che sperimenta così l’abbondono, lo sconforto e il senso di sradicamento. Pertanto, prodighiamoci affinché gli uni non lascino soli gli altri.

Il secondo atteggiamento è la resistenza al male secondo le parole di san Paolo: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21).

Tre esempi di resistenza. Il primo consiste nel ritirarsi, nel non reagire attaccando o seguendo l’istinto di un’opposizione diretta. Un secondo modo è affrontare il cattivo spirito a viso aperto, dando testimonianza pubblica della verità, ma con dolcezza e fermezza (Mt 5,14-16). Infine, la luce del demonio è come un flash: abbaglia e acceca, ma dura un istante. La luce di Dio, no! È mite, umile, silenziosa, non si impone ma si offre, e soprattutto dura molto. E noi, non dimentichiamolo, siamo i figli della luce di Cristo a partire dal nostro Battesimo (Gv 8, 16-20)!

Il terzo atteggiamento consiste nel fare posto al Signore, l’ospite dolce dell’anima (cfr. Veni Sancte Spiritus).

In una situazione difficile ci si deve rendere conto che la guerra non è più tra le persone, che il diavolo usa come giocattoli, ma tra il diavolo e Dio. Se gli uomini vi cedono e imbracciano le armi, quale che esse siano (parole, azioni cattive, omissioni, pensieri ecc.), finiscono per autodistruggersi. Occorre invocare lo Spirito Santo, dicendo: «hostem repellas longius», respingi il nemico più lontano (cfr. Veni Creator Spiritus) per essere lucidi nell’affrontarlo.

Il quarto atteggiamento è la mansuetudine che non va confusa con la debolezza.

È la stessa carne di Cristo nella sua debolezza, alla quale il diavolo abbocca e ingoia ed è neutralizzato (Col 3, 12-17). È, dunque, l’approccio migliore contro i toni scandalistici, contro gli attacchi che si diffondono nelle reti sociali, persino di testate giornalistiche o di blog che si definiscono cattoliche (?!?)

Infine, l’accusa di sé.

È l’ultimo e, in definitiva, l’atteggiamento che vince il demonio, perché è l’esatto opposto dell’accanimento (Mt 9, 9-13). Consiste nel nostro considerarci peccatori, ma semplicemente bisognosi della Grazia di Dio, quindi non autosufficienti o radical chic, ma figli di Dio, desiderosi di liberarci dal nostro egocentrismo. In questo siamo aiutati dallo Spirito, il Paracleto, parola greca che vuol dire avvocato, difensore, consolatore, e che in noi grida abbà, papà (Rm 8,15 e Gal 4,6) 

  1. Quale modello di credente a cui far riferimento

 Abbiamo molte sante e molti santi come compagni in questa lotta.

Vi suggerisco la figura di Timoteo, che ci ha proposto il nostro vescovo nella lettera pastorale dello scorso anno, Li mandò a due a due, che vi è stata distribuita nelle scorse feste patronali (Potete leggere da voi l’intero capitoletto alle pp. 19-21). Lo raccomando, anche aiutato dal nostro Consiglio pastorale, che ha dedicato un intero incontro, riflettendo proprio su questo discepolo della “prima ora” per poter educarsi a costruire buoni legami in seno alla comunità.

Vi cito solo un passaggio importante della lettera pastorale: «Il “collaboratore” dell’Apostolo – ha scritto mons. Brambilla, a proposito di questa figura esemplare di cristiano – richiama alla memoria il suo modo di vivere in Cristo: egli non è solo l’ammiratore, ma l’imitatore, perché imita il Signore Gesù nello specchio della testimonianza di Paolo («diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo», 1Cor 11,1). L’immagine generativa usata dall’apostolo («mio figlio carissimo») fonda la personalità del suo più stretto collaboratore, che così può rappresentarlo di persona. Si noti: per il suo servizio diventa mediatore, non intermediario, perché rende presente “il modo di vivere in Cristo”. Se Paolo riconosce a Timoteo la capacità di “richiamare alla memoria” la forma di servo del Signore, afferma che l’autorità del collaboratore è contrassegnata dalla forma Christi» (ivi, p. 20).

Conclusione

 L’educazione cristiana non è, dunque, costituita tanto dalla ricerca dello “star bene” insieme, ma dalla condivisione del “modo di vivere in Cristo” nel “prendere sinceramente a cuore” la vita nostra, quella delle nostre famiglie, quella della nostra comunità.

Se vi sembrasse difficile tutto ciò, non scoraggiatevi!

Vi ricordo un altro passo nel quale lo stesso cardinale Martini aggiunge, a conforto di quest’avventura, queste parole: «è sempre l’ora della speranza, della fiducia, dell’amore. Tutto passa, ma l’amore resta».

Che il Signore ci aiuti!

La Vergine Maria, san Timoteo, i santi Gaudenzio e Rita ci siano ottimi compagni di viaggio.

Buon inizio, dunque, di questo nuovo anno pastorale, carico di attese ma soprattutto della Grazia di Dio.

Cordialmente,

 

vostro

padre Marco

 

Novara, 11 settembre 2019,

nel terzo anniversario del mio ingresso in mezzo a voi